’77. L’anno in cui si è osato

 

La cronistoria del ’77  inizia a Roma, a febbraio, quando all’università La Sapienza, il Pci e la Cgil credono di far capire e di imporre agli studenti e al movimento la loro svolta di pacificazione nazionale, inserendosi tout court nel putridume governativo, con le sue imposizioni sacrificali e nello specifico avallando il decreto scuola del democristiano Malfatti, uno stillicidio di tasse, l’inserimento del numero chiuso nelle università e l’inizio della scuola classista. Lama, l’allora capoccia della Cgil, decise di “affrontare” gli studenti e il movimento, nel cuore dell’università romana e le conseguenze sono storia: la sua fuga precipitosa, il palco del suo oratorio praticamente divelto e i suoi sodali protettori presi a sberleffi, bastonate e a sassate, dando di fatto inizio a quella che divenne una vera e propria rivolta sociale, con le università che esplodono un po’ ovunque, a Cagliari, Milano, Napoli, Genova, Torino, espandendosi su tutto  il territorio. Quel giorno si attuò lo strappo di una convivenza forzata, tra il movimento di una sinistra che voleva rivoluzionare il tutto e il Partito che ne voleva l’egemonia da dare in pasto al nuovo capitalismo, convivenza fatta solo di qualche mito tenuto in comune e nient’altro; al Pci venne tolta la maschera e da quel che restava di quel palco alla Sapienza, venne messa in evidenza la sua nudità. Il solco fu tracciato da Lama e dai vertici del Pci che dichiararono : “Questo è nuovo fascismo, perché anche il fascismo ebbe all’inizio, specie tra i giovani, radici demagogiche e irrazionali simili a questi …” Il dado era tratto ed iniziò la valanga.

Intanto i fascisti, quelli veri e strutturali al sistema, continuavano con le scorribande, sicuri e protetti, con raid negli atenei armati di spranghe, bastoni ed armi da fuoco come quando feriscono in modo grave lo studente Guido Bellachioma, a Roma. I compagni si mobilitano e cercano di assaltare la sede fascista da dove è partito l’agguato, la polizia interviene e vengono feriti due studenti, negli scontri rimane ferito anche un agente e tanto basta ai vertici del Pci, con la voce di Ugo Pecchioli, ad invocare la chiusura dei covi rossi, i nuovi fascisti; i diciannovisti, come disse, invece, Berlinguer.

Le piazze si infiammano sempre di più, gli operai scioperano contro l’attacco alla scala mobile, che se pur minimamente garantiva il recupero salariale al costo della vita, e attaccano il governo Andreotti per la sua politica antioperaia; a Cagliari oltre tremila compagni sfilano in coda ad una manifestazione della Cgil che con il solito esponente “nazionale” cerca di catalizzare il malcontento operaio in un ottica istituzionale, ma la coda del corteo decide di forzare il servizio d’ordine del sindacato, riuscendoci pienamente, “occupando” la piazza in modo autonomo e libertario.

 Le piazze sono ormai delle polveriere, la polizia spara e uccide, e non tutti son decisi a sacrificarsi pacificamente, si espropriano le armerie, chi per l’autodifesa chi per l’attacco al potere. Le carceri sono strapiene di compagni grazie alla Legge Reale, avallata dallo stesso Pci nel ’75, e ci si organizza anche dentro le mura con scioperi, rivolte ed evasioni. Si intravedono le prime, blande, accuse di corruzione dei politici, con lo scandalo Lockheed, ma Moro, il presidente democristiano, sbraita che non lascerà processare il suo partito e, infatti, non tarderanno ad arrivare le assoluzioni.

A Bologna i compagni decidono di disturbare l’assemblea di Cl ma vengono respinti, gli scontri proseguono per ore e quando arriva la Polizia non esita a sparare ai disturbatori, uccidendo Francesco Lorusso, di 25 anni. La rabbia esplode, vengono assaltati negozi di lusso, una sede della Dc, una libreria di Cl, due commissariati di polizia e infine i compagni occupano, barricandosi, l’università per tre giorni, finché Cossiga non invia i carri armati per sgomberarli. La rabbia e l’odio si propagano inarrestabili: Lorusso va vendicato; a Roma si assaltano armerie e con le armi sedi della Dc e commissariati di polizia, cortei si svolgono un po’ ovunque, a Cagliari, Torino, Modena, Reggio Emilia, Como, Padova, e alla fine di ogni corteo si attaccano con molotov le sedi del potere, le sue ramificazioni e le sue difese; i gruppi combattenti, organizzati militarmente, colpiscono un po’ ovunque con gambizzazioni e uccisioni di uomini legati al potere padronale, politico e delle carceri. La rabbia è di massa e cadono gli ultimi steccati rappresentativi, Lotta continua e Autonomia Operaia ormai sono marginali e prossimi alla fine. Intanto la polizia uccide ancora. Sempre a Roma viene uccisa Giorgiana Masi, una diciannovenne che manifestava con i radicali per festeggiare l’anniversario della vittoria nel referendum sul divorzio. Nelle piazze continuano gli scontri, a Milano la polizia carica e spara sui manifestanti, qualcuno si difende uccidendo l’agente di polizia Custra.

Il Pci insieme a Cossiga continuano la loro comunanza nel combattere la devianza fascista della piazza, reprimendola col carcere e la tortura e soprattutto il Pci, che in nome della socialdemocrazia nascente, non può permettersi l’allargamento della conflittualità  e chiude ogni possibilità, anche minima, di discussione e, tanto meno, alternativa, al sistema borghese, chiudendo definitivamente, inoltre, con la sua stessa componente “operaia”, che fino a qualche anno prima riuscì in qualche modo a rappresentare un avanzamento nei rapporti di forza, riuscendo in questo modo a disinnescarne la sua potenzialità rivoluzionaria, trascinandola nei recinti istituzionali, spaccando il fronte della lotta e isolando il movimento.

Intanto  i fascisti continuano con le loro scorribande e a Roma in piazza Igea sparano contro tre giovani di sinistra, una ragazza viene ferita seriamente e morirà poco tempo dopo. Durante una manifestazione di protesta davanti alla sede del Msi di Roma, scoppiano gravi incidenti e viene ucciso il compagno Walter Rossi e durante il suo funerale la polizia non esita a caricare, ma questa volta rimane ferito un appuntato di polizia, con un colpo di pistola in pieno petto…

 Il “77” finisce con l’assemblea contro la repressione svoltasi a Bologna dove 100 mila compagni e, dopo diversi giorni di dibattito, sfilano per le vie della città, tracciando scelte personali, che rimarcheranno la storia degli anni successivi.

Oggi Lama avrebbe chiuso il suo comizio con gli applausi della piazza. Domani, forse, no.