Sardegna, la necessità di una svolta.

hopper

Sotto anestesia, tagliati fuori dalle sensazioni del dolore, i proletari sardi sono come inebetiti, apatici.
Vedono sfilare sotto i loro occhi politicanti vacui che lottano solo per conservare i propri privilegi, vedono la generazione dei propri figli senza prospettive, senza futuro. Vivono la lacerazione della propria esistenza, la tragedia della disoccupazione, l’ingiustizia della pressione fiscale che viene a raschiare il fondo delle già misere pensioni, l’accanimento delle agenzie di spoliazione di stato dagli improbabili nomi echeggianti equità. Così come improbabile é il nome, stavolta tutto sardo (abbanoa) che l’unica novità che ha portato nella gestione delle risorse idriche è stata quella di monetizzare un bene pubblico senza peraltro rendere un servizio degno di questo nome.
Ogni giorno porta il suo fardello di tagli ai servizi sociali e amministrativi, sia che si chiudano gli sportelli delle poste, sia che si chiudano le scuole nei piccoli centri, lo stato, l’amministrazione regionale affondano i loro coltelli sul tessuto sociale della povertà.
E non è solo la ruralità che viene colpita, è l’intero sistema di vita di tutta la regione che viene destrutturato, è il territorio come ecosistema che subisce l’attacco della burocrazia della classe dominante, burocrazia che per non rinunciare alle auto blu taglia i servizi sociali, per non rinunciare ai bonus e alle già indecenti rimunerazioni, si permette di disarticolare la scuola pubblica. Il territorio è diventato il luogo della sperimentazione della fine dello stato sociale e questo vale bene sia per gli insediamenti a forte concentrazione proletaria dell’hinterland Cagliaritano sia per le zone rurali del centro Sardegna.
La politica applicata è la stessa che sta già facendo le sue prove in Grecia: imperialismo finanziario, sottomissione del proletariato attraverso l’indebitamento collettivo, spoliazione dei beni, controllo dei mezzi di produzione e delle risorse strategiche.
La politica é la stessa, ma la Grecia sta dimostrando che un popolo non può sopportare all’infinito l’ingiustizia, il sopruso. Non sappiamo come andrà a finire in Grecia, anche se ci auguriamo che i proletari di quel paese indichino, con le loro lotte e la loro determinazione, un percorso politico verso la liberazione e il superamento dal capitalismo. Crediamo nelle lotte di popoli, crediamo molto di meno ai dirigenti politici e al parlamentarismo, ma rispettiamo tutti i percorsi di rottura all’ordine esistente che si inscrivono nella tradizione e nella storia della sinistra di classe.
La Sardegna non è in fallimento, i salari statali vengono pagati, così come pure le pensioni, e i malati vengono ancora curati … allora tutto va per il meglio nel migliore dei mondi ?
Lo stato italiano, che gestisce la fiscalità e la spesa pubblica di tutte le regioni invece è in fallimento, o meglio dovrebbe esserlo, visto che il debito pubblico italiano corrisponde al 132,9 % del prodotto interno lordo, il che in soldoni vuole dire 2.000 (duemila) miliardi di euro.
Ma se l’Italia fallisse, viste le cifre in gioco fallirebbe l’Europa, quindi la BCE affinché questo non accada ha deciso di battere moneta iniettando cinquanta miliardi di euro al mese per acquistare dalle banche private e investitori istituzionali come la banca centrale cinese, il debito pubblico delle nazioni più esposte (i PIIGS + Francia*) e l’Italia più delle altre riceverà questo fiume di denaro
che servirà a procrastinare la resa dei conti.
Quindi lo scudo economico e il peso specifico dello stato italiano proteggono, per ora, la Sardegna dal fallimento? Probabilmente si !
Il problema è che nell’abisso in cui si trova attualmente, la Sardegna ce l’hanno spinta le politiche economiche messe in atto dai governi che si sono succeduti dalla liberazione a oggi, politiche economiche concepite contro lo sviluppo della Sardegna in vista di un vassallaggio, di una subordinazione del nostro territorio agli interessi di uno sviluppo concepito come centrale per il centro-nord industriale della penisola.
Per questo sono nate le “cattedrali nel deserto” per creare le strutture di servizio primario della lavorazione del greggio, la parte più inquinante e con minore valore aggiunto di tutta la filiera del petrolio. Se oggi la Sardegna è considerata la regione più inquinata d’Italia lo dobbiamo proprio alle politiche criminali che la classe politica isolana ha avvallato e gestito nel nostro territorio.**
Le scelte di politica economica che andavano fatte già dagli anni sessanta, non potevano esaurirsi nella creazione dell’ETFAS o in un’annacquata riforma “De Marzi-Cipolla”. Bisognava avere il coraggio di una rivoluzione agraria, foriera di una rivoluzione tout-court. Ma il compromesso storico era già in cammino e la classe politica nazionale si è unita contro lo sviluppo armonico della Sardegna per inserirla nel ciclo produttivo capitalista come anello debole, territorio sacrificabile allo sviluppo nazionale.
Il discorso ci porterebbe lontano e forse sarebbe anche ridondante, date le migliaia di altre analisi che si sono accavallate per spiegare la subalternità dell’economia e della società sarda. Ora la domanda che ci poniamo concerne piuttosto le prospettive di rottura politica che devono essere messe in atto per creare un movimento di massa cosciente della propria condizione e della propria forza.
Uscire dall’apatia e dalla rinuncia, superare il vittimismo, fare come i greci, dire no, dire basta!
I movimenti politici della sinistra di classe europei che oggi si stanno organizzando anche sulla base dell’esperienza greca portano tutti (volenti o nolenti) un messaggio riformista delle società capitaliste, una specie di “realismo” dettato dalle “condizioni oggettive”, un gradualismo istituzionale che dalle urne alle piazze, dalle piazze alle urne, sembra avvalorare l’ipotesi di un “capitalismo dal volto umano”.
Noi pensiamo che uscire dal capitalismo sia possibile e necessario, migliorarlo no, questo è impossibile, perché l’esistenza stessa della logica del profitto e dell’accumulazione spingono l’umanità tutta intera verso l’abisso, il pianeta intero, sottoposto allo sfruttamento intensivo delle risorse, verso un’arida fine.
Note:
* PIIGS, ossia Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia, Spagna, precedentemente solo PIGS (porci) acronimo con il quale la finanza internazionale chiamava i paesi del sud Europa più indebitati, altrimenti definiti anche “Club Med”
** In Sardegna sono presenti 1.101 siti pubblici, aperti al pubblico, in cui si registra la presenza di amianto, materiale altamente cancerogeno. Tra questi ci sono 323 scuole, 69 ospedali e case di cura, 176 uffici della pubblica amministrazione, 35 impianti sportivi, 69 tra caserme e carceri e 23 chiese, tutti ancora da bonificare.
E ancora, alcuni dati pubblicati su L’Unione Sarda del 7 marzo e altri tratti da Studi del prof Migaleddu, presidente regionale dell’Isde, da anni impegnato nella denuncia dei danni causati dall’inquinamento – Studi Sentieri Sardegna:
41 comuni sono compresi nei due Sin (Siti di bonifica di interesse nazionale) e riguardano l’area di Porto Torres/Sassari e Sulcis iglesiente/Guspinese. Sono circa 445.500 ettari (100mila ettari in più della Campania) quelli risultati a forte presenza di sostanze tossiche rilevate nell’aria e nel suolo e sono quelli dove è maggiormente concentrata la mortalità legata alle malattie dell’apparato respiratorio dovuta a un’elevata incidenza di tumori della pleura e del polmone, ma anche quelle legati al fegato e alla vescica.
Nel Sulcis Iglesiente i dati sono da far paura: 353.757 mila ettari di cui 14.154 di aree industriali e 11.535 di quelle minerarie con la presenza nel suolo di cadmio, piombo, zinco, mercurio e idrocarburi vari che inquinano fino alle zone di Buggerru e Sant’Antioco. Uno studio fatto sull’inquinamento della Saras di Sarroch ha dimostrato l’incidenza di mortalità infantile oltre ogni parametro di statistica e in più ha evidenziato un dato spaventoso: l’incidenza delle polveri fini e benzene sui danni a livello genetico, ossia modifiche del Dna. Attraverso la biomagnificazione, ossia il processo di bioaccumulo di sostanze tossiche e nocive negli esseri viventi, questa area di riferimento si allarga ulteriormente e dal punto di vista epidemiologico i dati sulle malattie correlate, sono sottostimati perché si sommano sia gli individui poco esposti sia quelli maggiormente esposti.»
Va da sé che soprattutto i prodotti agricoli maggiormente contaminati si “spostino” facilmente su tutto il territorio e in più la presenza del vento quasi quotidiano nell’isola, fanno sì che le sostanze tossiche “svolazzino” facilmente per poi depositarsi anche “fuori” dai Sin che citavamo prima. E questi sono “solo” i dati riguardanti l’inquinamento dalle “servitù” industriali …
MRAS
MARZO 2015