Il gioco al massacro continua

 

La notizia, dei giorni scorsi, dell’arresto di numerosi dirigenti della Fluorsid di Macchiareddu e di alcune ditte dell’indotto con l’accusa di disastro ambientale, inquinamento e associazione a delinquere finalizzata alla commissione di plurimi delitti ambientali, ha avuto, come spesso succede, la stessa forza dirompente di un petardo, cioè pressoché nulla.

Eppure sono state sequestrate tre aree che contengono materiali inquinanti, stoccati all’aperto e interrati alla bell’e meglio. Le indagini riferiscono di interramento e sversamento di fluorsilicati, fanghi acidi, amianto, oli, cloruro e lavorazione all’aperto di sostanze velenose; forte contaminazione per dispersione di polveri nocive contenenti fluoro; contaminazione del terreno per diffusione di polveri di fluoro; contaminazione delle falde da metalli pesanti e composti inorganici, e ancora, contaminazione da fluoro degli allevamenti di Macchiareddu, dove son state riscontrate nelle greggi numerose fluorosi, una particolare patologia che determina gravi danni all’apparato dentario e osseo e impedisce agli animali di alimentarsi. Gli abitanti di Macchiareddu hanno denunciato la presenza di polveri bianche nelle case, bruciore agli occhi e alle vie respiratorie. In alcuni casi anche effetti sui figli.

Le aree interessate sono quella di Macchiareddu, Assemini, Santa Gilla.

Ora si acclara anche la presenza di arsenico nei fanghi versati a Santa Gilla e aumenta il numero delle discariche utilizzate dall’azienda del presidente del Cagliari calcio Giulini.

“Livelli di inquinamento sconcertanti”, così il Gip raffigura la situazione della Fluorsid. E se lo dice un giudice, forse stavolta hanno esagerato un tantino davvero.

Il Polo industriale del Distretto di Cagliari Ovest – Sarroch e Macchiareddu – è da anni oggetto di studi epidemiologici (Istituto Superiore della Sanità 2008 e 2012; Ministero della Salute 2013) che hanno descritto una situazione allarmante e gravissima, nell’area di Cagliari, dal punto di vista clinico, data dall’aumento di linfomi e patologie tumorali, della mortalità per malattie dell’apparato respiratorio, del tumore della pleura, del rischio di contrarre forme di leucemie, legate alla presenza di numerose industrie altamente inquinanti.

I dati diffusi nel 2013 dal individuano l’area di Macchiareddu tra quelle più inquinate d’Italia.

E anche in questi casi, nell’immediato della pubblicazione dei rapporti degli studi, l’indignazione generale ha toccato punte quasi commoventi, salvo poi, con pari rapidità, reindirizzare l’attenzione verso qualche altra notizia più rassicurante.

In un intervento del marzo 2015, tra le altre cose dicevamo che “nell’abisso in cui si trova attualmente, la Sardegna ce l’hanno spinta le politiche economiche messe in atto dai governi che si sono succeduti dalla liberazione a oggi, politiche economiche concepite contro lo sviluppo della Sardegna in vista di un vassallaggio, di una subordinazione del nostro territorio agli interessi di uno sviluppo concepito come centrale per il centro-nord industriale della penisola.

Per questo sono nate le “cattedrali nel deserto” per creare le strutture di servizio primario della lavorazione del greggio, la parte più inquinante e con minore valore aggiunto di tutta la filiera del petrolio. Se oggi la Sardegna è considerata la regione più inquinata d’Italia lo dobbiamo proprio alle politiche criminali che la classe politica isolana ha avvallato e gestito nel nostro territorio…

…In Sardegna sono presenti 1.101 siti pubblici, aperti al pubblico, in cui si registra la presenza di amianto, materiale altamente cancerogeno. Tra questi ci sono 323 scuole, 69 ospedali e case di cura, 176 uffici della pubblica amministrazione, 35 impianti sportivi, 69 tra caserme e carceri e 23 chiese, tutti ancora da bonificare.
E ancora, alcuni dati pubblicati su L’Unione Sarda del 7 marzo e altri tratti da Studi del prof Migaleddu, presidente regionale dell’Isde, da anni impegnato nella denuncia dei danni causati dall’inquinamento – Studi Sentieri Sardegna: 41 comuni sono compresi nei due Sin (Siti di bonifica di interesse nazionale) e riguardano l’area di Porto Torres/Sassari e Sulcis iglesiente/Guspinese. Sono circa 445.500 ettari (100mila ettari in più della Campania) quelli risultati a forte presenza di sostanze tossiche rilevate nell’aria e nel suolo e sono quelli dove è maggiormente concentrata la mortalità legata alle malattie dell’apparato respiratorio dovuta a un’elevata incidenza di tumori della pleura e del polmone, ma anche quelle legati al fegato e alla vescica.

Nel Sulcis Iglesiente i dati sono da far paura: 353.757 mila ettari di cui 14.154 di aree industriali e 11.535 di quelle minerarie con la presenza nel suolo di cadmio, piombo, zinco, mercurio e idrocarburi vari che inquinano fino alle zone di Buggerru e Sant’Antioco. Uno studio fatto sull’inquinamento della Saras di Sarroch ha dimostrato l’incidenza di mortalità infantile oltre ogni parametro di statistica e in più ha evidenziato un dato spaventoso: l’incidenza delle polveri fini e benzene sui danni a livello genetico, ossia modifiche del Dna. Attraverso la biomagnificazione, ossia il processo di bioaccumulo di sostanze tossiche e nocive negli esseri viventi, questa area di riferimento si allarga ulteriormente e dal punto di vista epidemiologico i dati sulle malattie correlate, sono sottostimati perché si sommano sia gli individui poco esposti sia quelli maggiormente esposti

Va da sé che soprattutto i prodotti agricoli maggiormente contaminati si “spostino” facilmente su tutto il territorio e in più la presenza del vento quasi quotidiano nell’isola, fanno sì che le sostanze tossiche “svolazzino” facilmente per poi depositarsi anche “fuori” dai Sin che citavamo prima. E questi sono “solo” i dati riguardanti l’inquinamento dalle “servitù” industriali …

Riportare questo brano sull’inquinamento per intero aiuta a stare ancora per un po’ sul pezzo.

Stiamo parlando di uno scempio, che dilata i danni causati da un modello rivelatosi inefficiente, dannoso, calato dall’alto, orientato alla logica del saccheggio e della rapina, che nega qualsiasi alternativa produttiva “territoriale”. Un modello pirata che ha compromesso 445 mila ettari di territorio sardo, nel nostro caso, la cui unica, irrisoria, contropartita è la famosa ricaduta occupazionale.

E qui ci rimpantaniamo: appena ricevuta la notizia degli arresti, la reazione delle segreterie dei sindacati di categoria dei settori chimico, tessile, dell’energia e manifatture di Cgil, Cisl e Uil è stata di pelosa preoccupazione per la continuità produttiva e per i posti di lavoro.

“Troviamo discutibile il metodo utilizzato per l’arresto delle persone che è stato vissuto dai lavoratori anche come un attacco al luogo e al lavoro stesso, davanti ad una irruzione in una fabbrica in marcia, con tanta dovizia di mezzi e di sirene, generando l’idea, e il timore, che tutti quanti operano in quel sito lo fanno mettendo in pericolo l’ambiente e le persone”…“non si barattano i posti di lavoro in cambio della tutela della salute e dell’ambiente. Crediamo debbano essere mantenute ben distinte e separate le questioni che attengono all’attività lavorativa dall’eventuale compimento di atti illegali e dal doveroso loro accertamento da parte degli organi giudiziari”.

Posizioni di questo genere danno la misura di quanto il concetto del “rapporto costi-benefici” abbia inquinato il terreno dello scontro. Sembrano passati anni-luce da quando le lotte contro la nocività dentro e fuori le fabbriche facevano ragionare, via dai sofismi, di incompatibilità tra modello produttivo capitalistico e difesa della salute, e di rifiuto dei costi umani e ambientali che esso impone. Non si dà alternativa al procedere verso la catastrofe.

In Sardegna nel Polo industriale del Distretto di Cagliari Ovest, nel Sulcis-iglesiente, nella zona industriale di Porto Torres, ad Ottana; in Italia a Marghera, Taranto, Seveso, Gela, giusto per citare i più conosciuti, la produzione capitalistica si scontra con la sua riproduzione. Come uscirne non sta a noi dirlo, non vogliamo imbarcarci in discussioni su alternative o proposte. Non è questo il nostro compito. A noi interessa capire, semmai, la natura della contraddizione e lavorare alla prospettiva della sua risoluzione.

La frantumazione del sapere, la mancata percezione della complessità umana lascia spazio alla barbarie. Ma attenzione, perché alla barbarie a noi più nota, che è quella della guerra, delle torture, della fame, se ne aggiunge un’altra fatta dal calcolo, dal profitto, dalla tecnologia al servizio dell’economia. Sono due demoni fra loro alleati, anche se si manifestano in modo differente nei vari luoghi del pianeta.                                                                        Edgar Morin