A tutti i costi

 

 

La crisi economica e di sistema sta trascinando l’individuo/massa e la sua frenetica corsa al traguardo monetario in una competizione senza regole, dove ognuno pensa alla propria vittoria, pur di incrementare il medagliere fatto di sfruttamento e miseri salari.

Qualche giorno fa nei cancelli di una fabbrica a Piacenza, durante un picchetto di operai in sciopero, un autotrasportatore non ha esitato a forzare il gruppo di manifestanti con il suo mezzo e ad assalirli con una sbarra di ferro, ferendone alcuni. Neanche un anno fa, sempre a Piacenza, un camion guidato da un altro operaio, forzava il blocco di altri operai in sciopero, uccidendo  Abd Elsalam, un egiziano di 53 anni, padre di tre bambini piccoli.

A Domusnovas, nella Rwm, una fabbrica tedesca che produce bombe di sterminio, la logica operaista “a tutti i costi” ne è l’emblema più rappresentativo. Durante una manifestazione contro la guerra, una donna che veniva informata del fatto che le bombe che costruisce suo marito nella fabbrica stanno uccidendo uomini, donne e bambini yemeniti, ha risposto placidamente che con lo stipendio del marito ci campano lei e i suoi figli, cioè a dire che la guerra e i figli degli altri non sono un suo problema. Il marito, per evitare i manifestanti, ha lavorato due turni consecutivi ben protetto dalle guardie e a fine mese sono felici di spendere e consumare…

Nel Sulcis, gli operai dell’Alcoa continuano la mobilitazione perché insistono per la nuova apertura della fabbrica che produce alluminio. La stessa fabbrica che per anni ha riversato nel territorio montagne di residui tossici, causando l’avvelenamento di acque e terre coltivabili, causando inoltre un incremento di morti per tumori e leucemie anche su giovani e bambini. Lo stesso territorio dove vivono gli stessi operai, le loro famiglie e i loro figli.

Nelle campagne di Andria è morta una bracciante agricola, Paola Clemente, 49 anni, di Taranto, soffocata dal caldo in un tendone dove lavorava per la raccolta dell’uva, guadagnando 30 euro al giorno per 12 ore di lavoro. Le indagini per le cause della morte sono nate dopo la denuncia del marito vista la reticenza degli altri colleghi di lavoro, che dichiaravano: “qui non c’è lavoro, se perdiamo questa possibilità è una tragedia”.

Anche Mohamed, di 41 anni, è morto di fatica a Nardò: raccoglieva pomodori e guadagnava 3 euro e 50 per ogni cassa raccolta, 25 euro, circa, per 12 ore di lavoro. È morto come un cane, ucciso dal troppo lavoro e dal caporalato istituzionale. I colleghi migranti e italiani l’hanno adagiato all’ombra per rispettare il suo cadavere e son tornati a lavorare: la produzione deve andare avanti per sopperire all’esigenza del consumo e per saziare il vorace profitto. I sindacati fanno la conta dei morti a fine anno, mentre il sole e la fatica uccide gli operai, soli, nei campi e nei cantieri, tutti i giorni.

Nei dintorni della base militare di Quirra, dove per le guerre imperialiste che imperversano in mezzo mondo si testano le armi più sofisticate e dove questi esperimenti lasciano nel terreno e nell’aria circostante pulviscoli di scorie tossiche e cancerogene e la moria di persone ed animali ha raggiunto i livelli di tragedia, una madre, a chi le parlava dei rischi nel lavorare e vivere in questa zone, rispondeva che preferiva correre il rischio di una leucemia per il figlio che perdere il posto di lavoro che la base garantisce nel territorio …

Il lavoro, l’occupazione a tutti i costi, implicano la trasformazione dell’individuo in mero ingranaggio del sistema, dove è indispensabile per la propria esistenza rendersi servile, utile e funzionale ad esso.

Costi quel che costi.

Il denaro, perno centrale dell’illusione lavorativa, è strutturale all’esistenza stessa del potere e l’individuo-ingranaggio è conseguente e funzionale: produrre come lavoratore e consumare come individuo sociale. Produrre qualsiasi cosa, dalle auto alle bombe, per gratificarsi con la sicurezza del fine mese: il salario come emblema di vita e di felicità. Una felicità ritagliata fra le otto o dodici ore di sfruttamento e fra le macerie di territori ormai spremuti dall’uso capitalista e contaminati dalle sue eccedenze. Gli effetti collaterali del lavoro a tutti i costi sono marginali, siano essi guerre, inquinamento o la morte stessa da sfruttamento, perché l’individuo, come strumento del sistema per la produzione e il consumo, sta prendendo sempre più le sembianze del soggetto compulsivo: l’automatismo dell’esistenza è scandito solo dal salario e tutto ruota esclusivamente su questo.

Con la precarizzazione e l’impossibilità per il sistema di garantire la felicità del lavoro garantito per tutti, si sta sviluppando maggiormente la corsa senza regole e senza rispetto per nessuno. Le strutture del sistema, cioè i sindacati, gli economisti, i consulenti del lavoro o le agenzie interinali (le stesse che hanno consigliato il lavoro alla bracciante morta soffocata dal caldo mentre lavorava) sono le strutture che con la loro vulgata propagandistica, infarcita di termini coi quali catechizzare la massa – sovrapproduzione, crisi, sacrifici, flessibilità, ecc. – fungono da garanzia o illusione per l’esercito dei disoccupati, sempre più esteso e sempre più sotto ricatto, che vede il traguardo della felicità sempre più lontano, ma sogna comunque di raggiungerlo, a tutti i costi.