Hambach Forest

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La lotta di Hambach, la lotta in Val di Susa e quella antimilitarista in Sardegna.

Da mesi nella foresta tedesca di Hambach, la più grande d’Europa, è guerra aperta fra la multinazionale Rwe che vorrebbe trasformare questi boschi in lignite, ossia carbone, e i resistenti ambientalisti e anticapitalisti che si oppongono fermamente. Le guardie private insieme alla polizia tedesca stanno alzando il tiro con presidi dati alle fiamme, manifestanti investiti per strada e decine di arresti fra i compagni e le compagne. I resistenti fanno di tutto per ostacolare quest’ennesimo oltraggio alla natura e alla terra, con blocchi stradali, barricate e rifugi sopra gli alberi e con una mobilitazione ormai di carattere europeo, con attivisti arrivati da diversi paesi; gli ultimi arresti riguardano proprio due compagne anarchiche spagnole, a cui volgiamo la nostra solidarietà.

Una nuova resistenza sta nascendo in Europa, che cerca di contrapporsi al sopruso e al saccheggio della terra e delle sue risorse sempre più sotto attacco degli artigli del profitto che cerca una nuova strada che vada oltre i flussi di denaro dell’economia finanziaria. Il neoliberismo sta usando l’economia “green” come nuovo grimaldello da incuneare nelle politiche nazionali  mettendo nel bilanciere delle scelte nefaste, come in questo caso “o carbone o nucleare”, una vulgata fuorviante, come se non esistessero alternative al pericolo radioattivo o all’immissione catastrofica di anidride carbonica nell’aria che respiriamo.

Le resistenze al mostro economico finanziario che gestisce l’esistenza umana e ambientale stanno sempre più prendendo coscienza con la consapevolezza che si può fare ma che sarà una lotta dura con conseguenze anche dolorose, con arresti, persecuzioni e con in gioco la propria vita come nel caso di Rèmì, il compagno francese ucciso a 21 anni da una granata della polizia mentre lottava per il suo territorio, difendeva i suoi boschi, la terra, la natura. Ma quel sangue pulsa ancora nelle vene dei compagni e delle compagne, per andare avanti, anche in suo onore.

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La stessa consapevolezza accomuna sempre più giovani e meno giovani in diversi territori, un po’ ovunque. La Val di Susa da anni combatte il mostro cercando di ostacolare la mafia istituzionale, famelica di soldi pubblici che a fiumi scorrono tra le mani della politica del palazzo e quelle delle grandi imprese. In Val di Susa la lotta No Tav è riuscita a mettere in evidenza e sotto gli occhi di tutti, proprio il connubio tra devastazione ambientale e grandi affari.

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Altra consapevolezza e altra resistenza è quella in Sardegna contro l’occupazione militare di oltre 30 mila ettari di territorio, con poligoni, basi di addestramento e persino una parte di mare e di cielo “rinchiusi” per alimentare la logica guerrafondaia, con le sue devastazioni umane e territoriali sparse, ormai, in mezzo mondo, indispensabili per alimentare la nuova economia e nuovi profitti e per rifocillare le gravi perdite che la crisi strutturale del sistema capitalista sta subendo per la sua ristrutturazione. La resistenza antimilitarista in Sardegna sta riuscendo ad ottenere risultati importanti come il blocco dell’esercitazione Nato, la Trident Juncture, il 3 novembre del 2015, una delle esercitazioni di vasta scala più grande degli ultimi decenni e come, più recentemente, l’invasione e il conseguente blocco delle attività militari nei poligoni a Decimomannu e Capo Frasca da parte dei resistenti, con reti divelte e determinata contrapposizione dei compagni e le compagne alle guardie a difesa dei fortini militari e della guerra.

Tre esempi, quello tedesco, quello No Tav e quello antimilitarista sardo che danno speranza a chi crede nella difesa del territorio e della propria esistenza, da affrancare dalle maglie dell’imperialismo finanziario di banche e multinazionali, che usa gli Stati e le loro guardie per gestire la ristrutturazione sociale ed economica. La loro ristrutturazione sociale, che si può – ed è giusto – sfidare e contrastare.