Un orizzonte da desiderare

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Da tempo, nel continente europeo, l’attacco a tutte le condizioni di lavoro e di vita del proletariato prosegue senza soste, dalla Germania all’Italia, alla Francia (ma possiamo allungare la lista a tutti i paesi dell’UE).

Vogliono imporre a milioni e milioni di lavoratori un “nuovo ordine del lavoro” di stampo neo-schiavistico, bisogna prenderne atto e ragionare di conseguenza su come contrastare questo corso degli eventi, iniziato sin dagli anni ’80.

In Francia il procedere dello scontro in atto fa emergere molte dinamiche da non sottovalutare, uno scontro che non riguarda solo i francesi ma che pensiamo coinvolga tutti i proletari del territorio europeo.

L’aspetto abbastanza significativo è il fatto che a cominciare sono stati i lavoratori precari, a seguito quelli sindacalizzati e gli ampi settori del lavoro marginalizzato, gli immigrati … Tutti uniti nelle mobilitazioni, blocchi ed anche scontri di massa contro la polizia e la sua reiterata brutalità, ed anche contro lo stato di emergenza approvato il 20 novembre 2015 che pone al centro “l’ordine pubblico e la sicurezza”, che in nome della “guerra lunga contro il terrorismo” tende di fatto ad un vero e proprio controllo generalizzato sulla popolazione. Dicevamo uniti nella difesa attiva dei diritti acquisiti sul campo del lavoro e le garanzie sociali che ne derivano sul campo della sanità, istruzione, trasporti, etc.

Nel mezzo di uno stato di emergenza percepito come sempre più pericoloso socialmente, tutti hanno preso coscienza che si stanno scontrando non solo con un governo, una confindustria determinati ad andare avanti nella riforma della legge del lavoro; il “braccio di ferro” è con l’intero sistema politico, economico, sociale che vuole smantellare diritti e garanzie per stare dentro le esigenze dell’Unione Europea che, con innegabili conflitti, è il centro di una vera e propria strategia politica di imposizione a tutti i governi nazionali sul tema delle riforme delle legislazioni del lavoro, nel portare avanti nel breve periodo l’abolizione dei contratti collettivi nazionali per meglio isolare e ricattare tutti i lavoratori.

La borghesia imperialista europea, con il suo progetto politico di costruzione di un polo forte e coeso, sta accelerando i tempi per continuare a ridefinire in maniera schiacciante i rapporti di forza nei confronti delle classi subalterne. In altre parole, il problema per la borghesia, è governare le contraddizioni sociali che questo rapporto di forza produce: per il proletariato metropolitano europeo, multietnico e multirazziale, il disastro economico e sociale.

Il “nuovo ordine del lavoro” che si vuole imporre in tutto il territorio europeo, ha sicuramente ancora specificità nazionali, ma per procedere e per passare 0si mettono in campo processi politici e sociali di marginalizzazione di molte fasce proletarie e una continua demolizione politica e repressiva con la conseguente criminalizzazione di tutte quelle istanze di classe e del movimento antagonista che si sono formate con mobilitazioni e lotte di resistenza molto difficili in tutto il territorio europeo.

In ballo sono anche quelle rappresentanze sindacali e politiche che dopo una lunghissima fase di concertazione neocorporativa con la confindustria e i governi, lacrime e sangue per tutti i lavoratori, sono sempre più meno funzionali al nuovo assetto del sistema di produzione europeo-globale che si sta sedimentando. Per gli strateghi della borghesia imperialista europea i rapporti di potere con la classe non devono più avere mediatori, ma devono affermarsi direttamente con i lavoratori, isolati, schiacciati e quindi estremamente deboli anche nella difesa del lavoro.

Con l’affermarsi di nuovi rapporti di produzione europei-internazionali niente è più come prima, sia la borghesia imperialista sia il proletariato metropolitano, che ha una marcata composizione multietnica-multirazziale che viene poco analizzata e molto sottovalutata. Questo vuol dire che attualmente più che riferirci al passato dobbiamo guardare al nuovo che emerge dalle lotte di questa nuova composizione di classe, ai suoi processi di lotta contro l’attuale schiavitù del lavoro salariato.

La stessa ristrutturazione della gran parte delle imprese, che ha distrutto e delocalizzato la produzione verso aree con minori costi sociali e della forza- lavoro, ha già comportato la diminuzione dei salari e dei costi sociali per le produzioni rimaste. Una ristrutturazione quindi che ha già ridisegnato la composizione della classe, nelle aree metropolitane, nella rete di produzione e in tutti i “poli di sviluppo” industriali. Tutti i settori sono radicalmente mutati, da quello automobilistico all’agroalimentare, dal complesso militare industriale a quello delle piccole e medie imprese.

La rete di produzione e di consumo dei grandi gruppi del capitale, ormai globale, ha come orizzonte lo sfruttamento degli esseri umani a livello globale, e il territorio europeo con i singoli paesi è dentro questa globalità.

A ridosso delle lotte in Francia, abbiamo spesso assistito a recriminazioni, lamentazioni e paragoni, tra la forza dirompente dei lavoratori francesi e la narcosi clamorosa delle lotte nostrane.

Noi non siamo molto d’accordo con queste letture … e continuiamo ad affermare che esistono realtà che stanno iniziando a maturare in consapevolezza e determinazione. La lotta sul Tav è forse una delle più significative, ma ci sono anche altri contesti non meno importanti. Qui, in Sardegna, sta prendendo sempre più consistenza la lotta contro le servitù militari che va oltre il contesto antimilitarista, racchiudendo istanze di lotta antimperialista e anticapitalista, vista la sudditanza coloniale di un intero territorio e della sua devastazione economica, oltre che ambientale, ad uno Stato sempre più asservito alla logica ultra liberista e guerrafondaia. Stanno rimontando, un po’ dappertutto, le lotte in fabbrica con l’isolamento sempre più evidente dei sindacati confederali (basti pensare che solo la Cgil nell’ultimo anno ha perso 700 mila scritti), ormai, già da tempo, strutturali al sistema; come gli scioperi ad oltranza nelle fabbriche del gruppo Marcegaglia a Milano o come gli scioperi dei facchini delle grande imprese, sempre più vicini ad una sorta di nuovo schiavismo, con orari flessibili e paghe da miseria. La lotta in Meridiana dove anche qui la triplice concertativa ha subito dei veri attacchi da parte degli operai, con spintoni alle assemblee e sputi verso i delegati sindacali. A settembre l’Usb ha lanciato uno sciopero generale e crediamo sia importante si allarghi alle altre componenti autonome del sindacalismo e del mondo del lavoro, per creare un nuovo inizio di lotte autunnali. Importanti le lotte contro i Cei, soprattutto a Torino, ma non solo, dove la solidarietà con i migranti sta facendo nascere un nuovo connubio tra proletari, che ovviamente non mettono come priorità la loro nazionalità e tanto meno il colore della loro pelle, come è avvenuto in Puglia ma anche in Calabria, solo qualche giorno fa, quando i braccianti agricoli immigrati si sono uniti con quelli del posto per chiedere con rabbia le stesse rivendicazioni: salario decente, contratto e fine del caporalato. Altre lotte, anche se territoriali e apparentemente periferiche al conflitto si stanno diffondendo un po’ ovunque come gli operai della Tim a Roma, dei trasporti a Bologna, a Genova contro la privatizzazione dei servizi pubblici, i lavoratori Piaggio a Pontedera, i Vigili del Fuoco che a livello nazionale chiedo il rinnovo del contrato, ormai da anni. Non si fermano i movimenti per la casa, concentrati soprattutto a Roma, ma con nuove occupazioni su tutto il territorio, resistendo con determinazione alla repressione ormai sempre più scatenata con arresti, restrizioni e provocazioni varie. Repressione che sta iniziando a colpire anche il sindacalismo di base, con l’applicazione del Codice antimafia, Decreto legislativo 159 del 2011,  per intimidire e limitare la libertà d’azione di attivisti del sindacalismo sociale, una prassi ormai diffusa da diverse questure italiane.

Insomma i presupposti per una rottura autunnale ci sono tutti, bisognerà esserci, ognuno come può e ognuno con i propri mezzi, quelli che si reputano necessari …

L’orizzonte della resistenza alle politiche dell’Unione Europea è ancora confinato nei singoli paesi, i proletari e i movimenti antagonisti comunque hanno capito che la controparte è l’intreccio tra istanze di governo nazionale e quelle in costruzione nei palazzi dell’UE.

Non sappiamo quando questo confine verrà spazzato via e mandato in frantumi. Ma pensiamo sia un orizzonte da desiderare. Anche se con innegabili difficoltà in diversi ambiti dei movimenti di classe e antagonisti in Europa (Francia, Germania, Italia, Grecia, Spagna …) si discute e si ragiona sulla dimensione dello scontro di classe a livello continentale e su come organizzarsi per costruire lotte comuni su obiettivi condivisi e unità d’azione.

È questo il terreno e il tessuto su cui indirizzare il necessario lavoro di ricomposizione e di unità di classe. Una connessione che significa prima di tutto solidarietà nella lotta per far emergere una autentica autonomia proletaria e la sua potenzialità, l’unica che può invertire l’attuale frammentazione e divisione.