Stato, terrorismo, guerra e pace

cop21di3

Dopo i fatti parigini, o meglio, dopo l’avvento nella storia moderna di tagliatori di gola o fanatici di ogni tipo, che sparano nel mucchio senza distinzione di classe o responsabilità, la parola terrorismo viene ripetuta come un mantra dalle tv, ma anche nei bar, nei posti di lavoro e in tutti i luoghi dell’esistenza. Ovviamente non si è nuovi al suo utilizzo in modo uniforme e condiviso, e generalmente è lo Stato o gli Stati che ne decidono che potenza dargli e a che riguardo.

Il termine terrorismo fa più effetto della parola guerra. Il terrorismo è macabro, è folle, è incontrollabile è crudele; la guerra è più fine, ci sono le ambasciate, ci si accorda, ci si incontra, ci si impone e se non c’è altra possibilità si decide nel farla e come. Negli ultimi decenni tutti gli Stati o meglio tutte le potenze che gestiscono gli Stati del nuovo mondo, sono riuscite a usare questi due termini a loro piacimento, avvolgendo le azioni e le conseguenze con altri termini usati in base alle situazioni.

Tutti abbiamo visto le macerie di ospedali, scuole o matrimoni presi di mira dalle bombe, non dei tagliatori di gola ma degli Stati democraticamente certificati, che bombardano o sparano nel mucchio, anch’essi come i fanatici, su giovani, donne e bambini, divenire effetti collaterali. Abbiamo visto la violenza strutturale sionista in terra di Palestina, lunga ormai decenni, diventare Stato a tutti gli effetti e i rapimenti dei bambini palestinesi da parte della sua polizia (più di 1000 da ottobre a dicembre) diventare detenzione di terroristi. Abbiamo visto la colonizzazione o l’occupazione di interi territori col saccheggio continuo di risorse strategiche, con il controllo delle cosiddette primavere – in modo che non evolvano in autentiche insubordinazioni per la libertà ma al contrario restino strumento attivo, innesco sociale a fini imperialistici – convertirsi in operazioni umanitarie; le missioni militari con tanto di bombe e cannoni divenire missioni di pace; chi scappa dall’orrore della guerra e del terrorismo trasformarsi in clandestino e così, anche, chi resiste alla stessa guerra e allo stesso terrorismo, diventare a sua volta terrorista o comunque illegale. Abbiamo visto anche i fascisti religiosi usati dagli Stati – che esportano l’umanità giusta con quintali di tritolo – tramutarsi in ribelli o liberatori che combattono i tiranni, e così via.

Anche i numeri sui cadaveri assumono una dimensione importante, sia nella quantifica sia sui termini, in base a dove si conteggiano, e così i 129 francesi sono assassinati e hanno una valenza matematica superiore in modo esponenziale a quella dei 300 mila siriani, che rimangono uccisi – circa 200 al giorno – così come quelli della Libia, Mali, Iraq, Afghanistan, Somalia, Yemen e Africa Centrale. Milioni di cadaveri senza potenza.

Al terrorismo e alla guerra gli Stati contrappongono la LORO logica di pace. Così si vive in pace ma in simbiosi con la guerra e la guerra viene imposta, quotidianamente, mentre si è convinti di essere in pace. Logica che abbraccia l’ufficiale che muove la cloche del drone carico di esplosivo da sganciare a migliaia di kilometri di distanza, azionandolo magari mentre mangia un hamburger in un ufficio della sicurezza nazionale, con aria condizionata e segretaria; ufficiale fermamente convinto di essere un uomo di pace perché vota democraticamente o si rattrista ogni volta che vede un cagnolino abbandonato per strada. La stessa logica che avvolge i territori come il nostro, con i suoi 30 mila ettari di basi militari dove si addestrano i portatori di pace con le armi più sofisticate e devastanti mai esistite, calpestando suolo e dignità di un intero popolo che è convinto dallo Stato della sua esistenza in pace; o l’operaio che lavora alla RWM Italia di Domusnovas, che fa le sue otto ore di lavoro anche gratificante, mentre assembla e impacchetta bombe da spedire a chi fa la guerra per massacrare donne bambini e altri operai come lui. Lui però vive in pace, il fine settimana va al cinema con la famiglia e la domenica va a caccia. Vive in pace l’ingegnere che studia una nuova molla che serve per detonare le mine di nuova generazione; ingegnere probabilmente laureato a pieni voti e col bacio accademico, in una città importante, piena di benessere e prosperità, che si prepara per l’Anno Santo in segno d’amore per il nostro Dio e per l’umanità. Vive in pace anche il soldato quando rientra in licenza dopo aver fatto l’assassino per lo Stato, vive in pace con la sua famiglia e con i paesani che lo salutano e festeggiano quando lo incontrano per strada. Vivono ugualmente in pace pure i milioni di sfruttati sotto il giogo capitalista e vivono in pace, prima della loro fine, i quattro lavoratori che, mediamente ogni giorno, nel nostro Stato, muoiono di lavoro in nome del profitto. Vivono ancor più in pace i loro padroni e i loro aguzzini e vive in pace la guardia che col manganello e le catene controlla che l’andamento di questa pace sia in piena sicurezza.

La loro guerra e la loro pace, il militare e il civile, ormai sono amalgamati dallo Stato o dagli Stati, in un’unica dimensione che è quella funzionale alla pacificazione sociale.

Pacificazione che trae giovamento e supporto dal terrorismo, dal sangue popolare e dalla paura, costruendo uno stato di emergenza strutturale, che piano piano si insinua nelle menti, come una sorta di (claustro)fobia di massa che le autorità statuali utilizzano per legittimare qualsiasi azione repressiva, col pretesto del “bene di tutti e dell’umanità”, agendo oltre l’apparente priorità di turno, su tutto ciò che non è conforme, dallo straniero al ribelle sociale, all’antimilitarista o allo scioperante.

Per lo Stato o gli Stati proprio in questa fase di ristrutturazione e di forte instabilità, tutto ciò può essere la salvezza.

Ma i giochi sono aperti … tutto può succedere.

No ai loro Stati

No alla loro guerra

No al loro terrorismo

No alla loro pace.