BILAL

Recensione, inviata dal compagno Nestor Roca, che volentieri pubblichiamo

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BILAL

Viaggiare lavorare morire da clandestini.

Fabrizio Gatti

Edizioni BUR Rizzoli

Un nome falso. Gli euro avanzati e la capsula con i dollari. Il tubetto di colla per nascondere le impronte digitali. Il borsone nero. Il giubbotto salvagente. La camicia. Il pile. Le vecchie ciabatte. La bottiglia d’acqua da un litro e mezzo. Sei panini. Tre scatolette di sardine e tre schede telefoniche. Ecco cosa è servito a Fabrizio Gatti per trasformarsi nel clandestino Bilal e raccontare il dramma sconvolgente di chi si mette in marcia dal Sud del mondo per conquistare una vita migliore al di là del Mediterraneo. Fabrizio Gatti ha attraversato il Sahara sugli stessi camion che trasportano i migranti. Ha incontrato affiliati di Al Qaeda e scafisti senza scrupoli. Ha superato indenne le frontiere. Si è infiltrato nelle organizzazioni criminali africane e nelle aziende europee che sfruttano la nuova tratta degli schiavi. Si è fatto arrestare come immigrato senza documenti. Ha scoperto i nomi, le alleanze e le complicità di alcuni governi che non fanno nulla contro il traffico di schiavi, anzi, ci guadagnano.

Un resoconto lucido e spietato – perché “approdare vivi a Lampedusa è come sopravvivere a un incidente aereo”. Perché Bilal è una storia vera

L’inferno in terra

(CPT Lampedusa) (…) «Bilal ha visto il vero fondo del baratro. Bilal scopre per la prima volta di avere il terrore di diventare cinico. Di ritrovarsi assuefatto alla violenza. E se io un giorno considerassi tutto questo normale? Un hotel a cinque stelle? Un motivo di orgoglio nazionale?»(…)

(…)Youssef (professore universitario di storia, egiziano clandestino arrivato in Italia via Libia)

«È vero che abbiamo rischiato di morire. Ma siamo nati dalla parte sbagliata del mondo. Se non rischiamo, non otteniamo nulla da questa vita» (…)

Quelli che dicono:
«vengono qui e ci rubano il lavoro»
«sono tutti delinquenti assassini e spacciatori»
«sono tutte puttane»
«Quelli che vengono sono i peggiori!»
«vengono qui e invece di ringraziare vogliono comandare»
«sono sporchi, puzzano»
«cosa vengono a fare, rimangano a casa loro»
«io non sono razzista ma …»
«non ci sono case per noi e le vogliono loro»
«i centri di permanenza sono hotel…..»
«Mandiamoli a casa»
«Quelli che vengono sono i peggiori!»
«nei centri di permanenza “Il ministero dell’Interno ha confermato alla Commissione europea e alla Corte europea per i diritti umani il rispetto della dignità umana”».
«la colpa delle violenze è dell’immigrazione clandestina»
«Meno immigrati, meno criminali»

Questo è quello che ieri e, ancora di più oggi dopo l’attentato di Parigi, sentiamo in Italia. Tanto tempo è trascorso dalla promulgazione delle nuove leggi razziali, il clima è sempre più xenofobo e intollerante, ma il vero orrore è che tutto questo sia ormai considerato normale, peggio ancora una cosa giusta.

E mentre la televisione ci racconta le favole di un paese i cui problemi sono le collezioni estate/inverno, i problemi sentimentali dei calciatori o la tintura dei capelli, l’economia prospera grazie al lavoro nero dei nuovi schiavi costretti a turni di lavoro massacranti nelle nostre fabbriche, nei nostri cantieri edili, nei nostri campi.

E tutto questo per una paga da due ai cinque euro all’ora (quando vengono pagati).

Fabrizio Gatti “Bilal”  si è finto migrante e,  partendo dal Senegal,  seguendo la tratta dei clandestini, viaggiando con loro sui camion attraverso il deserto, subendo con loro i controlli e le violenze di polizia ed eserciti, è arrivato fino in Libia, dove si è imbarcato su una delle tante navi della disperazione arrivando poi fino in Italia dove è stato rinchiuso nel CTP (oggi CIE) di Lampedusa, luoghi che altro non sono se non lager, fuori da qualsiasi diritto e di ogni umanità, dove, anche un gesto semplice, come una pacca di incoraggiamento sulle spalle, datagli da un maresciallo che lo richiama indietro durante la distribuzione dei pasti per ricordagli di prendere anche il pane, assume la valenza di un gesto di solidarietà.

Bilal è  un racconto devastante, un libro che porta, chi lo legge, dritto all’inferno, che nessuna televisione avrà mai il coraggio di raccontare.

Un viaggio, una lettura che lacera l’anima.

Un libro imprescindibile; perché nessuno domani, compresi “quelli che dicono…”, dovrà poter dire: “NON SAPEVO”

Per quanto voi vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti

(F. De André)