La giornata del 3 novembre a Teulada è stata caratterizzata dal fatto che l’azione determinata, organizzata e consapevole porta risultati positivi e incoraggianti. Lo schieramento repressivo usato per contenere la rabbia contro la Nato e la guerra, da scenari mondiali ormai prossimi, è servito a dare l’ennesima riprova che lo Stato dimostra, con forza, il suo asservimento alla logica della guerra imperialista e non accetta mediazioni o illusorie trattative istituzionali.
È stato chiaro fin dal primo momento quale livello di scontro avremmo dovuto affrontare. Tre pullman fermati, decine di macchine trattenute per ore, centinaia di compagni bloccati per l’identificazione in quei veri e propri check point disposti lungo la strada di accesso al punto di incontro stabilito; insomma, i fogli di via, le denunce, gli avvisi orali di questi ultimi mesi hanno fatto da sfondo, mentre la predisposizione delle “misure di contenimento” del corteo hanno evidenziato l’obiettivo: impedire la partecipazione al corteo al maggior numero possibile di compagni, depotenziare la lotta e lanciare anche qualche messaggio qua e là. Un processo di criminalizzazione preventiva a tutto tondo, che spazia dall’intimidazione alle blandizie, dalla minaccia alle cariche e via … contrastando. Sì, perché, individuare, distinguere e differenziare buoni e cattivi per creare il vuoto attorno alle componenti più determinate, significa voler rompere compattezza e solidarietà all’interno di quelle aree che si stanno riconoscendo a vicenda e consolidando giorno dopo giorno; significa, in parole povere, dividere per imperare.
Non ci interessa la diatriba legalità o costituzionalità sull’operato del questore e dei suoi prezzolati, consapevoli che usano semplicemente la loro forza per supportare la loro posizione; forza che per alcuni momenti è stata messa in discussione dalla rabbia di una parte dei manifestanti verso la guerra e le sue ramificazioni. Non ci interessa perché è nella logica del conflitto che le parti in causa utilizzino le proprie forze per ristabilire una conquista o un risultato; loro hanno conquistato qualche foglio di via in più per i compagni e la gratificazione nell’usare il manganello nelle cariche, noi – per alcune ore – il poligono, impedendo, anche se per poco, che l’olio lubrificasse gli ingranaggi della guerra.
Ottocento persone hanno risposto alla chiamata contro la Nato organizzata dalla Rete no basi, per darsi appuntamento nelle prossimità del poligono di Teulada. Moltissimi giovani, donne, studenti, antifascisti, autonomi, comunisti, anarchici, anarco-femministe, pacifisti, indipendentisti e anche qualche gruppetto di nazionalisti (che per la stampa sono sempre numerosi ed egemoni) hanno caratterizzato l’andamento del corteo. Di nuovo, la lotta e l’azione antimilitarista di Teulada, così come quelle di Cagliari e Decimo, hanno marginalizzato le figure che fino a qualche anno fa imbastivano idiozie elettoralistiche o farraginose proposte referendarie, parlando a nome di un popolo che non rappresentano, figli dell’ideologia liberale e del partito dell’ordine. Sono personaggi che esistono solo nei giornali, i quali a loro volta hanno sempre bisogno di referenti o di figure inclini alla logica riformista e istituzionale, che nulla hanno a che vedere con la lotta e con la determinazione di queste importanti giornate.
Qualche tentennamento si è visto nell’ala più pacifista del corteo quando è stata divelta qualche recinzione per oltrepassare lo sbarramento dei blindati, che inizialmente volevano bloccare la manifestazione quasi sul nascere o quando non se l’è sentita di seguire la scelta di chi aveva preso la direzione verso il problema, ossia verso il poligono; ma comunque nell’insieme tutto il corteo è stato coeso e lo si è visto quando in qualche modo si è reagito compositi nell’affrontare gli uomini in divisa che volevano rincorrere il gruppo che si è defilato per poter raggiungere e conquistare la base. Crediamo che le diverse anime del corteo possano continuare a marciare insieme, ognuno col suo modo di esprimersi senza ostacolarsi nei propri propositi, per conquistare consapevolezza e determinazione partendo dal presupposto che si può fare e che l’azione nella lotta deve essere sempre presente, senza lasciarsi imbrigliare dalla logica del consenso a tutti i costi; azione per creare la contrapposizione politica utile per far emergere le contraddizioni latenti dell’esistente e per portare risultati concreti, come è stato quello di fermare per alcune ore la Trident Juncture. Percorsi di rottura che col tempo e la pratica potranno accumulare forza e strategia.
Concludiamo queste brevi note con le parole di un compagno presente a Teulada:
Kilometri e kilometri, non vediamo l’ora, curve, frenate, discorsi e strategie. Non si arriva più. Tre ore di macchina, macinando strada, sigarette, incroci e rotonde. Fila di macchine e pullman. Pullman indesiderati fermi all’alt. Uno sguardo al cielo, forse piove cazzo, chi se ne frega se piove, questa merda va fermata, comunque. I boati di guerra si sentono in lontananza, gli elicotteri volano bassi, talmente bassi che ci arriva lo sputo … Si apre il bagagliaio e si danno i documenti, uno, due, tre volte … e boh cazzo non se ne può più. Si vede molta gente, giovani, donne, anziani, in scarpe da trekking perché non si sa mai, in carrozzina per chi non ha più volontà nelle gambe, ma una enorme idea in testa. Questa merda va fermata. Si cammina, si urla, si affronta il nemico. Si cammina, sempre, compatti, ci si guarda incuriositi, siamo tanti, si saluta perché quello lo conosco, si sorride con intenzione, gli occhi parlano da soli, perché insieme si può fare. Questa merda va fermata. Troppi sbirri, non importa, andiamo avanti senza guardarli, loro non lo sanno ma non esistono, continuiamo a camminare, cazzo c’è acqua dappertutto, la strada è troppo stretta se decidono di chiudere. Un guizzo, dieci, venti trenta, cinquanta, andiamo avanti, guardandoci le spalle, non si sa mai, parliamo di vigliacchi anche se non esistono. Fango negli scarponi, siamo stanchi, stanchi di tutto questo, i fenicotteri ci guardano, anche per loro questa merda va fermata. La vediamo in lontananza, mentre i suoni di guerra sono sempre più forti e fastidiosi, il cuore pulsa, scarica forza nelle gambe, scarica rabbia e tanto odio nella mente, in lontananza i compagni combattono con i vigliacchi che non esistono, andiamo avanti, la rete è vicina … cazzo questa merda la fermiamo davvero. Ancora qualche passo, oltre la rete si intravede lo stupro, l’indecenza in divisa; il buco si allarga, si lacera, si entra … cazzo. Dieci, quindici, ma siamo cento, mille, siamo tutti dentro e non si sente più la guerra, ma solo noi che ridiamo, sfottiamo, coniglio, vigliacco, infame, siete merda, qui e altrove, a foras. Arrivano stralunati, con la polvere, col casco, manganello, scudo e tanta vigliaccheria, ci provano, spingono, picchiano, ma noi resistiamo, ridiamo e sfottiamo ancora … I compagni, le compagne escono col sorriso, tanti abbracci … cazzo si può fare. La merda l’abbiamo fermata. Si rientra, un fenicottero alza la testa dall’acqua, sembra sorridere … Anche i fenicotteri se la ridono!
Gherra contr’a sa gherra bos fakimus…
Complici e solidali con chi ha subito la repressione nelle diverse giornate antimilitariste e antimperialiste.
Alcune soggettività presenti nel corteo del 3 novembre.
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