Esistenze e vetrine infrante

disperazione

È di qualche giorno fa la notizia dell’ennesimo suicidio, avvenuto ad Olbia, di un operaio marittimo dopo aver ricevuto la notizia del suo licenziamento. È solo l’ultimo che si incolonna nelle cifre, ormai da spavento, che questa economia criminale ingrossa quotidianamente. Ai primi di maggio, in Toscana, un cassintegrato di 53 anni, con 4 figli, decide di usare la corda per asfissiare la sua tristezza e la sua precarietà quotidiana, mentre le fanfare festose dell’Expo risuonavano nelle case dei “partecipi” cittadini, coinvolti dall’amor patriottico per lo storico evento. Cifre, numeri, storie che non interessano più nessuno, tutti presi a gestire il proprio orticello e ad allenarsi alla corsa per il traguardo della sopravivenza, sempre più in salita e sempre più col fiato in affanno. Sempre a maggio, in concomitanza con la fine del povero cassaintegrato e della parata sull’apertura del “circo” Expo, diverse centinaia di individualità ribelli, hanno deciso di disturbare i “manovratori sociali”e la loro festa, imbastendo una rottura netta, “violenta” e decisa; giovani e meno giovani che hanno deciso di non asfissiare la loro tristezza, ma di darle uno sfogo mirando su vetrine imbellettate per l’occasione, su banche sempre più rigonfie dei propri “interessi”, auto e così via. Giovani soprattutto delle “periferie” sociali, con i padri disoccupati o precari che cercano il futuro nei video poker e le madri che lavano scale per due euro l’ora, giovani che non hanno niente da perdere ma hanno solo voglia di sputare la loro rabbia verso il luccichio opulento di una ricchezza forzatamente messa in evidenza, quasi a sfidare il loro odio; giovani nati in mezzo alle macerie che se la ridono, giustamente, all’indomani del loro “barbaro” passaggio, dei benpensanti con la ramazza che cercano di nasconderle.

Ancora oggi a quasi un mese da questi eventi, quella giornata fa ancora cronaca; giornalisti, opinionisti, “esperti” sociali, tutti ad analizzare la “devianza” giovanile e i violenti incappucciati, mentre della tragedia di chi si è arreso definitivamente non rimane che un margine insignificante e una solitudine che va oltre la propria fine. Le due realtà vanno di pari passo, con una sopravvivenza disperata di una società irreale, persa nel vuoto, dove il potere sguazza nel suo teatrino indecente con i suoi burattini sempre più asserviti alla logica dell’Europa ultra capitalista, dove all’ordine del giorno c’è solo povertà, guerra, sfruttamento, precarietà sociale e stordimento mediatico. Una società fasulla che resiste appesa ai fili di manovratori crudeli che fanno di tutto per tenerla sospesa, che non accettano disturbatori e non accettano chi vuole tranciare quei fili, e non accettano neanche, cercando di nasconderlo insieme alle macerie, chi ha deciso di “scendere”, stanco di galleggiare nel vuoto, anticipando la propria fine.

“… coltiviamo per tutti un rancore che ha l’odore del sangue rappreso, ciò che allora chiamammo dolore, è soltanto un discorso sospeso.” Faber

Nikola