Intervista Vincenzo Miliucci del sindacato COBAS

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Intervista Vincenzo Miliucci del sindacato COBAS

1 – Quali sono le ragioni che ti hanno motivato a partecipare alla costruzione del sindacato di base. Esiste una continuità tra la tua esperienza e quella attuale nei cobas

Correva l’anno 1970 quando nasce e diventa operativo il Comitato Politico Enel (fuoriusciti in gran numero – operai e tecnici- dalla Cgil) organismo politico-sindacale che nell’autunno caldo propone la battaglia “ per una autentica nazionalizzazione contro l’energia padrona ,per la tariffa popolare, per i diritti uguali dei lavoratori,il tutto inserito nel contesto dello stragismo di stato e dell’antifascismo militante”. Questo strumento che agisce costantemente nel campo dei diritti dei lavoratori, assume fin dal nome “comitato politico” , la funzione che aveva indicato Lenin agli organismi dei lavoratori nel tempo della rivoluzione, ovvero gli artesignani di quello che sarebbero poi diventati i “ soviet”. Una pretesa, che si tradurrà nel marzo 1973 a Bologna nell’assemblea costituente degli organismi dell’autonomia operaia( assemblee autonome, comitati, cub) che darà vita ad un coordinamento nazionale, a numerose campagne di lotta per l’egualitarismo, al riposizionamento sul territorio del percorso organizzato dell’autonomia operaia. A Roma , nel gennaio 1974 nascono i Comitati Autonomi Operai , l’autonomia operaia romana che ha sede in “via dei Volsci 6”, che diventa protagonista nelle battaglie per la riappropriazione sociale, per l’autodeterminazione dal capitalismo, per la solidarietà internazionalista, fin dentro la suscitazione del Movimento 77 e il conflitto generale scaturito da quel moto insorgente.Fin dall’origini e tutt’ora,non ci siamo mai definiti “sindacato di base”, bensì uno strumento per confliggere in campo sindacale-sociale-culturale-politico, in funzione dell’emancipazione e della autoderminazione dei lavoratori-cittadini,sicuri protagonisti nel processo di costruzione della società “di liberi e uguali”.Il passaggio da CPE a Cobas , intervenuto agli inizi degli anni ’90 e quello da Coordinamento Nazionale Cobas a Confederazione Cobas (1999),ha di fatto riversato quelle esperienze in quelle attuali , il cui riscontro sta nello Statuto Cobas e nei costanti comportamenti conflittuali dentro lo “ stato presente delle cose” e nella prospettiva di un modello di società alternativo al capitalismo.

2 – Come mai non si riesce a realizzare l’unità delle varie sigle del sindacalismo di base, per costruirne uno fronte comune che oggi potrebbe diventare punto di riferimento per occupati, precari, disoccupati, cassaintegrati, migranti Le cause sono molteplici e vanno ricondotte a :- la diversità di approccio generale :” non auspichiamo la costruzione di un sindacato di classe, quale cinghia di trasmissione di un ipotetico partito che dirige il processo di trasformazione” , siamo noi stessi soggetti del processo di trasformazione della società – ricomponendo sia la sfera economica che quella politica- che non mantiene la visione della centralità del “ conflitto capitale-lavoro” bensì sostiene la cointemperanza senza preminenza dell’insieme dei conflitti (lavoro,sociale,beni comuni,ambiente,di genere,civili) che maturano l’alternativa di società e che ritroviamo, in contesti completamente diversi, nel sistema di “ autonomia democratica” promosso dai Kurdi nella Rojava:- la diversità di organizzazione e di comportamenti: i Cobas sono uno strumento di lotta leggero e orizzontale, senza apparato burocratico; si basano sulla militanza volontaria a partire dalla preminenza del Comitato di Base Aziendale; rifuggono distacchi sindacali, permessi retribuiti e “ sindacato di mestieranti”; sottopongono le piattaforme e i risultati delle trattative “sempre alle decisioni dei lavoratori;non firmano accordi infausti pur di mantenere rappresentanza; l’80% delle trattenute rimane in sede aziendale-provinciale.I Cobas non si pongono in competizione con le altre OS di base, non fanno “campagne acquisti,né denigrazioni”, mantengono il rispetto per tutti e si guardano bene da comportamenti egemonici.Nel rispetto della diversità, ci siamo più volte impegnati a fondo nel concepire almeno “l’unità di azione”, l’ultima volta con il Patto Di Base, che è durato poco non per nostra volontà. Continuiamo a promuovere iniziative comuni e giammai a disperdere le forze convocando scioperi separati.

3- Quale è l’analisi del vostro sindacato rispetto alla drammaticità della disoccupazione e precarietà crescente. In che misura tutto questo modifica la composizione di classe  Facciamo risalire le cause attuali alla primaria sconfitta degli operai Fiat nel dicembre’80. Da quello sconquasso voluto in gran parte dal Pci e Fiom-Cgil non ci è più rialzati (l’ultimo sussulto generalizzato fu nel 1992, quando nelle piazze veniva impedito ai burocrati sindacali di parlare, conclusosi però nei famigerati accordi del dicembre ’92 e luglio’93) e se ne pagano tutt’ora le conseguenze, con l’aggravante della globalizzazione, delle frequenti guerre, con annessi grandi flussi migratori anche a fronte di drastici cambiamenti climatici dovuti ai sistemi produttivo-consumistici dei paesi dominanti. In questa situazione è stato fin troppo facile per il padronato travolgere tutte le conquiste degli anni ’70 : in un breve volgere di tempo, si è persa la “ scala mobile” , si sono ridotte le pensioni e alzata l’età pensionabile, cancellati gli scatti di anzianità e aumentato l’orario di lavoro; il lavoro è quasi esclusivamente precario, malpagato e senza diritti, manteniamo un “welfare miserabile”.Siamo passati dal “rifiuto del lavoro, al ricatto del lavoro”, dal “ lavorare per vivere , al vivere per lavorare”: il tutto vissuto all’insegna della competizione del lavoro, con l’aggravante, per chi non ne ha anche di quelli più schifosi, dell’esclusione sociale e della guerra tra poveri.

4- quale è l’analisi e la posizione del vostro sindacato sulla situazione della Sardegna?

La Sardegna è stata terra di conquista coloniale da parte dello Stato Italiano, con la conseguente espropriazione delle ricchezze che hanno condannato l’Isola al sottosviluppo e alla persistente emigrazione. Dallo sfruttamento delle miniere, all’occupazione del territorio ai soli fini di servitù militari- energetiche-inquinanti, è stato un susseguirsi di devastazioni e saccheggi che tutt’ora segnano e condizionano il futuro dei sardi. La quantità di Basi Nato-Usa disseminate in ogni quadrante dell’Isola, da la misura dell’occupazione militare che la fa da padrona nei confronti delle poche attività di pesca e pastorizia rimaste. In questa spietata logica, per primo vengono i poligoni di tiro e le esercitazioni interforze- comprese quelle militari israeliane che si addestrano nei poligoni sardi per poi riversare i micidiali strumenti di morte sulla disgraziata popolazione palestinese di Gaza e Cisgiordania – poi vengono le attività umane, ridotte in spazi sempre più angusti e regolamentati.L’inchiesta Fiordalisi – “sull’uso dell’uranio impoverito nei poligoni, che induce a sicura morte leucemica militari e isolani”- di cui è processo a Tempio contro le gerarchie militari, ha fatto da detonatore alla protesta contro l’occupazione militare e per la chiusura delle Basi in Sardegna.(Fiordalisi, è stato l’inventore dello sconfessato “teorema Cosenza-Sud Ribelle” che mandò in galera decine di compagne/i, poi totalmente assolti fino in Cassazione). Alle manifestazioni antimilitariste, si accompagna l’agitazione dei sindaci e delle popolazioni nei confronti della decisione SOGIN (azienda statale per la gestione nucleare) di considerare la Sardegna “ possibile sito per il deposito nazionale di scorie nucleari”.Come del resto altre municipalità si sono espresse contro l’utilizzo del territorio sardo per nuove servitù energetiche, ultima quella della pericolosa “ geotermia elettrica”. Per non parlare dell’annosa situazione occupazionale, che vede la fuga impunita delle multinazionali, dopo aver sfruttato a lungo lavoratori e territorio senza che lo Stato Italiano e gli Amministratori Locali abbiano fatto pagare loro alcun prezzo. L’Alcoa e la Carbosulcis per tutte, testimoniano di questo abbandono, anche dei limiti della sussistenza invocata complicemente da sindacati e istituzioni, invece di spingere i lavoratori a rilevare cooperativamente quelle attività imprimendo nuovo valore e speranza nell’autogestione.In considerazione di tutto ciò, la rinascenza del conflitto che già si esprime in Sardegna, non può rimanere confinato nell’Isola, ma diventare parte integrante delle mobilitazioni che in Italia ed Europa si coordinano “ contro la guerra, la subalternità alle politiche di austerità e precarietà imposte dalla Troika , il Trattato Usa-UE “ TTIP”, che dispone l’ulteriore distruzione della bio diversità e di quel poco che rimane del welfare” .

5 – Come si relaziona il vostro sindacato con i movimenti per la difesa dei territori e dei beni comuni.

Nello Statuto Cobas, la tutela dell’Ambiente – l’armonia tra uomo e natura – la tutela ad oltranza dei Beni Comuni contro la loro mercificazione, sono un tutt’uno con la difesa dei lavoratori dallo sfruttamento capitalistico. Le battaglie vincenti “dell’autoriduzione delle bollette e per la chiusura delle centrali nucleari(’76-’87)”, a cui il CPE ha contribuito in via determinante, sono state riversate nel procedere dell’esperienza Cobas. Che si è trovata pronta nel 2010 a rintuzzare i disegni del governo Berlusconi che pretendevano di privatizzare l’acqua e altri beni comuni, di dare libero sfogo al ritorno del nucleare. Dopo quello del ’87, il vittorioso referendum del 2011 – 27 milioni di italiani al SI per sconfiggere quelle politiche liberiste – è stato supportato dalla mobilitazione straordinaria delle sedi Cobas, sia nella raccolta firme che nel successo finale. Il “Forum dei movimenti per l’acqua bene comune” nasce nel 2005, dapprima avviato nel 2003 da una piccola pattuglia di comitati e associazioni, di cui la Confederazione Cobas è tra i fondatori.Il rispetto del responso referendario del 2011 è stato completamente tradito dai governi ,di cui quello Renzi si dispone a rinnovate privatizzazioni, liquidando l’esperienza delle Aziende Pubbliche, in ciò trovando la strenua opposizione del Forum che combatte per la “tariffa sociale e per le Aziende dell’Acqua Bene Comune”. La “rete Rifiuti Zero” si costituisce ad Acerra nel 2004 e vede tra i costituenti la Confederazione Cobas.Le innumerevoli battaglie per la salute e l’ambiente opposta a discariche ed inceneritori, attraverso “raccolta differenziata porta a porta, riciclo e riuso di materiali post consumo”, ha visto lievitare la coscienza collettiva (le grandi mobilitazioni per far cessare la tragedia nella Terra dei Fuochi), fino alle firme per la “ legge di iniziativa popolare”, il cui iter parlamentare prenderà il via a breve, dopo le sollecitazioni e le iniziative del “ Movimento per la Legge Rifiuti Zero”.Mentre la sfida all’energia padrona, già patrimonio del CPE è fatta propria dalla Confederazione Cobas , che sostiene le popolazioni che si battono contro l’uso improprio e massivo dell’energia, anche quella delle “rinnovabili(fotovoltaico,eolico,idroelettrico, geotermia)” quando sono solo il frutto di capitale speculativo sussidiato dallo Stato e che se ne fregano dei devastanti danni ambientali e paesaggistici apportati alle popolazioni e alla biodiversità. Ora i Cobas sono in prima fila nel contrastare la SEN(Strategia Energetica Nazionale) predisposta con Decreto Ministeriale dal governo Monti, che prevede :- “Italia HUB del gas per l’Europa”, con 12 rigassificatori , 18 grandi depositi sotterranei e il TAP, altro gasdotto proveniente dalla Grecia che approda sulle coste pugliesi(S.Foca/LE) per diramarsi al nord lungo la dorsale adriatica ;- lo sviluppo della quota di “ idrocarburi nostrani” attraverso la ricerca a mare (costiere adriatica e siciliana) e a terra con centinaia di licenze indiscriminate di trivellazione. Tra queste, anche quelle per la “ geotermia elettrica”, che dopo aver devastato l’Amiata si appresta a farlo su tutto il territorio nazionale e le Isole, con la “ pericolosa geotermia di 2° generazione”;- la sottrazione di altro suolo agricolo, per la diffusione di coltivazioni destinate alla produzione di ”agricombustibili”, in ciò aumentando ancor più la dipendenza alimentare dall’estero oltre ad inquinare quel che resta della biodiversità. Per ultimo, ci si appresta alla campagna di controinformazione “sui siti e la costruzione del deposito di scorie nucleari”, che non devono essere occultati dal factotum SOGIN (che gestisce questa ennesima “ grande opera” per svariati miliardi) ma divenire trasparenti per le popolazioni così da avere voce in capitolo, al fine di tutelare esclusivamente la loro salute con la messa in sicurezza delle scorie radioattive disseminate in vari depositi inadeguati e pericolosi.

6- Ci puoi descrivere come cambia il mondo del lavoro con l’introduzione del Jobs Act del governo Renzi.

Il Jobs act è la legalizzazione della precarietà: se il “lavoro” era l’atto fondativo della Repubblica, la “ precarietà” assume il tratto distintivo delle relazioni sociali al tempo della “ modernità”. Il Jobs act è la legge-quadro di un mercato del lavoro senza alcun vincolo, con il lavoratore ridotto esclusivamente a merce intercambiabile e deteriorabile a discrezione del padrone attraverso il facile “ usa e getta” del licenziamento; costretto per paura e senza potere contrattuale a subire le peggiori vessazioni, fino alla condizione di neo schiavitù. Con il Jobs act si pone fine al “ Diritto del Lavoro”, sorto negli anni ’70 sull’onda di grandi movimenti sociali,che ha tentato di porre un argine allo strapotere del padronato , riequilibrando in qualche modo la tutela della parte più vulnerabile,il lavoratore.Con il Jobs act il Giudice del lavoro è privato del potere di indagine e delle prerogative di discrezionalità , divenendo un mero esecutore di disposizioni capestro. Mantiene sempre l’opportunità di “ragionare” ma va a scapito della carriera; se la può cavare altrimenti, accogliendo le premesse del ricorrente licenziato che chiedono il rinvio alla Consulta per il giudizio di incostituzionalità di parte o dell’intera normativa Jobs act. Con il Jobs act si snatura l’efficacia dello Statuto dei Lavoratori (eliminazione dell’art.18 , legalizzazione degli strumenti di controllo-videosorveglianza/ex artt.3 e 4, inapplicabilità della proporzionalità delle sanzioni/ art.7, il “demansionamento”=eliminazione art.13) rendendo vana quella “riforma del lavoro”, che pur manteneva monopoli, come quelli di Cgil-Cisl-Uil sulla rappresentanza. Il Jobs act pone fine anche agli ammortizzatori sociali per come li abbiamo conosciuti “ CIG ordinaria, CIG straordinaria e/o speciale,CIG in deroga, mobilità “(che hanno consentito a milioni di lavoratori di sfamarsi malamente) sviluppando meccanismi farraginosi e vincolanti, già introdotti dalla Fornero, che limitano nel tempo (max 1 anno) la loro applicazione , ancorchè legata all’accettazione simultanea di prestazioni di basso livello lavorativo. Il governo Renzi porterà nella storia la responsabilità di questa infamia, ma la vendetta della borghesia nei confronti della classe lavoratrice ha preso corpo in precedenza, prima con i governi Prodi, poi con quelli Berlusconi e infine Monti , attraverso la formulazione del “ pacchetto Treu” poi della “Legge 30-Biagi” e successivamente la Legge Fornero, che hanno legalizzato tutte le forme possibili della precarietà del lavoro e rendendo assoluto il comando-controllo del padrone sui lavoratori. Aggiungiamoci la limitazione sempre più spinta del “Diritto di Sciopero” e “voilà al lavoratore non rimane che piegare la testa!”. A meno che, in questa livellazione al più basso possibile, non ci si accorga dell’utilità del “non avere niente da perdere nello spezzare le catene”.Intanto, senza nulla togliere al conflitto sul campo, si può agire anche attraverso una stagione referendaria che contrasti l’insieme della politica liberista del governo Renzi ,dal Jobs act, allo “sblocca Italia”, alla Legge Lupi sulla casa, alla “ buona scuola”.Leggi odiose, che suscitano repulsione e indignazione, che hanno la possibilità di essere abrogate con l’azione referendaria sottesa e promossa dalle migliaia ci comitati,reti,forum, in cui si articola “l’altra società”.

7- Pensi che il sindacalismo di base possa farsi carico di portare avanti battaglie come quelle per la riduzione dell’orario di lavoro(settimana breve 32 ore, per lavorare meno, lavorare tutti). e quella del salario minimo garantito, nonché del salario sociale?

La sfida per la “ riduzione della giornata-settimana lavorativa” è stato uno dei cavalli di battaglia dell’autonomia operaia dentro l’autunno caldo e oltre.E’ di quel tempo la riflessione sul limite massimo del lavoro salariato a 4 ore giornaliere, nel mentre ci si riparava dalla fatica e dal logoramento psico-fisico con “ l’assenteismo e il boicottaggio”.E’ del 1975 il manifesto-convegno al teatro Stelline di Milano sulle ”35 ore pagate 40”. Il Movimento 77, svolse una azione sistematica intesa alla riappropriazione delle “festività abolite, alla chiusura dei “covi del lavoro nero”, alla rivendicazione del “reddito garantito”.I “lavorare meno,lavorare tutti” – “lavoro o non lavoro, salario garantito”, non sono slogan-programma che appartengono ad un passato glorioso, ma riguardano una stringente attualità nelle condizioni di precarietà dell’esistenza vissuta da milioni di persone.E, laddove non se ne fanno carico i lavoratori e la collettività, è sempre il padrone a menare la danza utilizzando , a seconda si come va il mercato, “la riduzione della settimana lavorativa, riducendo parimenti la retribuzione”(vedi le 32 ore alla Wolkswagen) o anche i “contratti di solidarietà”, che hanno similare funzione e sono sempre a scapito dei lavoratori. Rompere la gabbia, significa non sottostare più alle continue “ristrutturazioni, in funzione della riduzione del costo del lavoro”, che impongono licenziamenti incentivati e/o dolorosi( da ultimo, AST Terni), bensì mettere in campo e agitare a livello generalizzato “un’altra strada possibile”, quella della “ riduzione d’orario a parità di salario”,la bontà di una vera riforma sociale! Rompere la gabbia, significa introdurre il “reddito sociale (mancante in UE solo Italia e Grecia)”, incondizionato e sufficiente a garantire almeno un livello di sussistenza, mentre si è in cerca di altre migliori condizioni di vita e di lavoro. Nel 2007, dopo due anni di battaglie portate avanti da realtà e centri sociali, da Cobas e Usb , la Regione Lazio votò la Legge,che per prima inItalia istituì il “reddito sociale( diretto/580E – indiretto/sostegno affitto,bollette,altro). Finanziandolo però con solo 30milioni, appena sufficienti per circa 7000 su 200.000 avendone potenziale diritto. L’anno successivo, con il subentro della giunta Polverini la Legge “Reddito Sociale” fu messa in mora, e tutt’oggi rimane tale perché la neo giunta Zingaretti, non si fa carico di riattivarla.Quanto avviene in Regione Lazio e nel resto d’Italia,denuncia però la quasi totale assenza di richiesta – sollevazione degli aventi diritto.Eppure l’Istat certifica al 50% la disoccupazione giovanile: possibile che dalle isole a sud e nord della penisola non ci si ponga in termini di movimento per agitare e conquistare il “ reddito sociale” ?? Non dovrebbe essere difficile, visto il tanto tempo a disposizione scandito dalla disoccupazione ! Nessuno può aspettarsi la manna dal cielo ! Basta un poco di impegno in prima persona per dare avvio e concretezza a questa impresa ! I Cobas sono pronti a dare una grossa mano.

8- Negli anni settanta si parlava di rifiuto del lavoro, si diceva: a salario di merda lavoro di merda!  Nella congiuntura attuale è ancora possibile sottrarsi all’ideologia del lavoro?

Il “rifiuto del lavoro” – inteso come merce valoriale, deprezzabile e deteriorabile, ovvero il lavoro salariato – è stato il caposaldo dell’autonomia operaia, acquisito nelle diffuse lotte contro la catena di montaggio tayloristica, i ritmi-tempi/metodi,il cottimo, il comando dei capi,l’autodifesa dalla nocività-malattie e morti sul lavoro: questa prassi costante, divenne un assunto teorico indicante ciò che non poteva più darsi nel concepimento di un nuovo modello si società, liberata dalla schiavitù capitalistica. Il lavoro, liberato dalla condizione di merce, o è un “ bene comune” utile-necessario al benessere e alla cooperazione sociale – al diritto-piacere individuale e collettivo dell’inventiva – oppure, nonostante le coloriture politico-economiche diversificate, ricade nei contesti di mercificazione, subordinazione, schiavitù.Oggi, dentro la sconfitta delle vittorie sociali conseguite sui campi di battaglia degli anni ’70, il lavoro è diventato una “ merce ricercata”, la cui offerta è sempre più a basso prezzo e senza diritti,a fronte di una domanda esasperata dell’enorme “esercito di riserva”, che accetta qualsiasi lavoro senza opporre alcuna condizione. E’ questo il segnale più prepotente della sconfitta! L’oblio o l’incoscienza dei diritti ,delle lotte e dei compagni/e caduti che occorsero per ottenerli. Probabilmente pesa la mancanza di un orizzonte in cui avere la certezza che “sta e passa a nuttata”. La certezza di stare in presenza di un movimento sociale diffuso, che faccia da detonatore per la riconquista di rapporti di forza tali, da rendere credibile, attraente, stabile, l’inversione di tendenza. Già perché, in teoria, davanti alla sola offerta di lavoro esclusivamente saltuario, malpagato e nocivo, dovrebbe essere più facile intendere il “ rifiuto del tutto”, rendendosi disponibili nel mettersi all’opera per accelerarne la fine. Allo stato attuale così non è, vince l’ideologia spicciola del “ lavoro quel che c’è”! Ma all’esaurirsi di questa sbornia, l’interrogativo che si pone è “ essere o no protagonisti del cambiamento”?, Non potendo chiedere ad altri, quello che deve partire anche da te.

9- L’uso delle stampanti 3D nell’industria e nell’artigianato sta rivoluzionando il modo di produzione capitalista; il sindacato di base sta ragionando sulle radicali modifiche in atto nella produzione materiale e sulla composizione di classe?

 Per fortuna che la diffusione delle “ stampanti 3D” è solo all’inizio e l’attuale depressione ne limita l’introduzione, così da colmare velocemente il ritardo di conoscenza-applicazione che di questa nuova “rivoluzione tecnologica” hanno i Cobas e le altre soggettività antagoniste. Già perché, l’innovazione non riguarda solo il ciclo produttivo di fabbrica e servizi, inteso ad abbattere ulteriormente il costo del lavoro e rendere il sistema più rigido ed impenetrabile al conflitto.Bensì pervade l’intero ciclo della vita, capace di modificare radicalmente le nostre abitudini, la stessa concezione del tempo e delle relazioni sociali. La statunitense Wirlpool e la coreana Sansung, stanno creando linee di preparazione del cibo in cui promettono di trasformare ciascuno di noi nel più esigente dei rinomati cuochi. La britannica Smarter, sta provando a diventare leader della tazzina di caffè, dal chicco alla quantità desiderata. In termini astratti, a palmo di naso, questa “ rivoluzione” supera anche “l’ausilio delle macchine, l’automazione, nella liberazione dalla fatica del lavoro” descritta da Marx nei Grundrisse ! Ma, senza cambiamento societario, gli attuali proprietari dei mezzi di produzione certo non diverranno mai “ filantropi del benessere sociale”, e dunque c’è bisogno urgente di attrezzarsi per essere all’altezza della situazione, per non diventare succubi di questaimmanenza.

Roma 12 febbraio 2015 Vincenzo Miliucci