La Rete No Basi aderisce e partecipa al corteo antimilitarista del 28 aprile a Quirra

La Rete No Basi né qui né altrove aderisce e partecipa il 28 aprile 2017 al corteo di fronte al Poligono Sperimentale e di addestramento Interforze del Salto di Quirra (PISQ)

Da ormai quattro anni la lotta antimilitarista in Sardegna si è caratterizzata per la sua presenza davanti ai cancelli dei poligoni con un obiettivo chiaro e dichiarato: azione diretta contro le basi militari. Nel giro di poco tempo si è cercato, a volte con successo, di bloccare le esercitazioni, entrare nei poligoni, tagliare le reti di recinzione, fermare convogli militari, bloccare la produzione di bombe, organizzare azioni concordate con il resto del movimento e protestare contro la presenza costante di navi da guerra nei nostri porti.
In più sedi e occasioni abbiamo ribadito il nostro dissenso contro la presenza militare nelle scuole, nelle università e contro un’economia basata sempre di più sugli investimenti a carattere bellico.
Man mano che aumenta la lotta e cresce il movimento, la repressione nei confronti degli attivisti e delle attiviste si sta facendo sentire in diverse forme: decreti penali di condanna, perquisizioni, sanzioni, richieste di sorveglianza speciale, fogli di via e denunce di vario tipo.
Nonostante questo, e anche dopo le ultime minacce a mezzo stampa del questore Gagliardi contro i manifestanti a ridosso della manifestazione del 28 aprile al poligono di Quirra, ci presenteremo al corteo per praticare ancora una volta il nostro antimilitarismo in continuità e in solidarietà con tutte le persone che fin’ora hanno avuto il coraggio di opporsi a questo stato di fatto.

Il Poligono Sperimentale e di addestramento Interforze del Salto di Quirra (PISQ) è senza dubbio il più famoso tra i poligoni e le basi militari in territorio sardo.
La triste notorietà deriva principalmente dall’impressionante inquinamento ambientale che ha avuto una pesante ricaduta sulle condizioni sanitarie, tanto da aver addirittura una sindrome dedicata. I bombardamenti, il lancio di razzi e missili, l’uso protratto come pattumiera per ordigni obsoleti e, in generale, le attività di esercitazione svolte sin dall’inaugurazione di questo poligono hanno infatti rilasciato nel territorio una mole di metalli, veleni e nanoparticelle tale da renderlo a tutti gli effetti un luogo di morte. Non meno incide l’inquinamento elettromagnetico dovuto al complesso sistema radar atto a controllare le operazioni che si svolgono nell’immenso territorio a terra e a mare.
Le notizie riguardanti le attività militari e civili in corso in questo primo semestre del 2017 nel PISQ sono assai fumose. Il calendario delle esercitazioni che sino a qualche anno fa elencava nel dettaglio i dispositivi, i mezzi e gli armamenti utilizzati sia dagli Eserciti che dalle ditte private, nel tempo è stato reso sempre meno dettagliato, di modo da dare ben esigue informazioni a chi, come noi, vorrebbe intralciare i loro progetti.
Facendo in parte riferimento ai calendari degli scorsi semestri, ciò che possiamo ricostruire è quanto segue:

  • Leonardo – Finmeccanica testerà i velivoli ATR, TORNADO, EuroFighter ed M346. Se il primo è un aereo da trasporto passeggeri potenziato con strumentazioni di controllo antisommergibile e antinave, gli altri tre modelli sono velivoli da combattimento tout-court, utilizzati, in particolare Tornado ed EuroFighter, in scenari di guerra come quelli siriano, yemenita e libico.
  • Piaggio Aerospace ha a disposizione i mesi da marzo a maggio per attività a fuoco, giugno per test in bianco. Non sono specificati i dispositivi che sta sperimentando, nel 2016 la ditta si era concentrata sul velivolo P.1HH, un drone progettato per missioni di sorveglianza e ricognizione.
  • Verrà certificato il nuovo acquisto dell’esercito italiano, in dotazione al 14° Stormo di Pratica di Mare, il velivolo da ricognizione e attacco Gulfstream G550 CAEW, comprato alla fine del 2016 direttamente dagli stabilimenti della Israel Aerospace Industries (IAI).

A dispetto di inquinamento e morte, il PISQ è però un caso esemplare di come l’economia militare possa penetrare a fondo nel tessuto sociale di un territorio acquistando così appoggio e complicità da parte delle popolazioni locali.
In quest’ambito esso è emblema di un fenomeno più subdolo con il quale il sistema di produzione bellica si imbelletta e si costruisce un’immagine positiva, accattivante e competitiva in questa fase di crisi dell’economia capitalista e dell’organizzazione statale: la commistione tra civile e militare.
Tra le molte imprese private che testano i loro prodotti a Quirra, quella che più esemplifica questa commistione porta il nome di Vitrociset Spa, azienda italiana all’avanguardia nel campo delle tecnologie dell’informazione, della comunicazione e della logistica che ha sede proprio nella parte a mare del poligono e al quale eroga servizi logistici e di supporto tecnico.
I lavoratori della Vitrociset non indossano la divisa, non vanno in missione, anzi, fanno ricerca e sperimentazione, assumono e formano; che poi sviluppino, tra le tante altre cose aberranti, sistemi di gestione e controllo delle attività militari all’interno del poligono poco importa, è progresso tecnologico, ma soprattutto è economia per il territorio.
Questa è in spiccioli la retorica sottostante ai sempre più numerosi fenomeni di asservimento di attività civili a scopi militari di cui la Sardegna è ormai costellata, retorica nella quale sono facilmente individuabili le due principali basi argomentative di chi da un lato giustifica e dall’altro glorifica questa pericolosa sovrapposizione.
Da un lato il “ricatto lavorativo” viene utilizzato per dipingere come necessaria ed inevitabile qualsiasi forma di complicità con l’economia della guerra, dalla gestione delle mense, passando per la manutenzione dei mezzi, sino ad arrivare all’eclatante caso dell’RWM Italia Spa a Domusnovas: la fabbricazione di ordigni. In assenza di alternative eticamente più accettabili qualsiasi attività che scongiuri il mostro della disoccupazione è non solo lecita, ma ben accetta e talvolta addirittura ricercata. In un contesto produttivo nel quale il precedente sistema industriale sta esalando l’ultimo respiro, l’economia militare diventa un’ultima boa alla quale aggrapparsi con le unghie e con i denti.
Dall’altro lato è ormai evidente il tentativo di costruire un terreno culturale fertile per quest’avvicinamento tra militare e civile. Le università stanno svolgendo negli ultimi anni un’importante funzione di collante in questa direzione: nel panorama italiano sono nati diversi corsi di laurea finalizzati a creare nuove figure professionali che operino nell’ambito dei conflitti, delle calamità naturali e dei problemi di sicurezza, come il Corso di Laurea in Cooperazione e Sicurezza Internazionale dell’Università di Sassari, attivato in collaborazione con l’Esercito Italiano. La logica dell’emergenzialità, della militarizzazione del civile ora trova dunque spazio anche nella formazione universitaria, dalla quale rischia di uscire ulteriormente legittimata. D’altronde non è mistero che l’industria bellica investa ormai da tempo notevoli capitali proprio nella ricerca accademica, investimenti grazie ai quali trovano linfa progetti civili come quello del Distretto Aerospaziale della Sardegna (DASS), tra le cui linee progettuali la ricerca bellica occupa dichiaratamente una posizione centrale, e tra i cui soci, guarda caso, si trova proprio la Vitrociset.
La Vitrociset incarna dunque questa dualità che sta rendendo sempre più profondo il radicamento del militarismo nella società sarda. Azienda fiore all’occhiello della ricerca scientifica, incensata per il suo contributo al progresso, si è insediata non solo nel poligono più grande d’Europa diventandone la colonna portante, ma anche nel tessuto socio economico costituendosi come una promotrice di “ottime opportunità lavorative”.
Pensare al civile e al militare separatamente, differenziarli analiticamente in un momento di ristrutturazione del capitalismo, in un’isola che si sta sempre più configurando come un gigantesco comparto bellico, rischia di essere un madornale errore nella lotta contro il militarismo. I due piani sono ormai pienamente intrecciati e si beneficiano reciprocamente drenando risorse e avvelenando l’ambiente (anche l’attività aerospaziale è pesantemente inquinante).
Continuiamo pertanto a lottare perché le comunità tornino a riappropriarsi di questi territori, rendendoli nuovamente vivi e non meri strumenti in mano a chi lucra sulla morte altrui.

Nessuna pace per chi vive di guerra!

Rete No Basi né qui né altrove