Abdulrahman Shadi Obeidallah, chiamato affettuosamente Abdo, è stato ucciso qualche giorno fa nel campo profughi di Aida a Betlemme: aveva 13 anni, usciva da scuola ed è stato colpito in pieno petto degli sgherri sionisti.
Abdo è solo uno dei tanti che in questi giorni in Palestina sono vittime della ferocia nazista dell’occupante. Abdo è una parentesi insignificante per le notizie prezzolate che rimbombano sulle news di mezzo mondo, farcite da coltelli arabi e sangue ebreo. Abdo è solo uno e la sua storia dimostra che in terra di Palestina non esistono frangenti particolari, periodi cupi o casuali, ma esistono anni e anni di sopraffazione, di occupazione, di sterminio e genocidio. La manipolazione mediatica accompagna, con amichevole vicinanza, le dichiarazioni dei vertici sionisti che spudoratamente parlano di ennesima strategia terroristica, di cancrena da estirpare e così via. La cronistoria di questi giorni parte, come sempre più spesso negli ultimi anni, da Gerusalemme, quella che i turisti religiosi di tutto il mondo non vedono, quella delle provocazioni alla Spianata delle Moschee, con i raid continui dentro la moschea di Al Aqsa, raid mirati per destabilizzare tutta Gerusalemme dove si trova il centro del problema. La conseguente reazione araba, con atti di resistenza, soggettivi, sporadici e di rabbia da parte di chi ha deciso di rispondere all’aggressione e all’occupazione con il diritto alla difesa, è vissuta e strumentalizzata da parte di chi riesce a costruire e manipolare vittime e carnefici, mettendo in chiaro e in primo piano ciò che è solo lo sfondo. Da quasi cent’anni, dall’inizio dell’espropriazione e da oltre cinquanta dall’occupazione dei territori palestinesi e dal sopruso quotidiano, con saccheggi, omicidi, prigioni e torture, è impensabile non pagarne un prezzo, anche se minimo. E’ impensabile che dichiarazioni di primi ministri, di personaggi pubblici di spicco, di intellettuali di fama mondiale, di militari o della gente comune di israele sul massacro quotidiano dei palestinesi, sulle loro case bruciate, sui minori incatenati o giustiziati per strada, sulle donne offese e umiliate, di esultanza, orgoglio nazionale e razziale, non possano se non alimentare una giusta reazione dei palestinesi, una rabbia crescente, una follia razionale, un odio senza fine per il rispetto del proprio passato, per il rispetto della propria esistenza e del proprio futuro. I coltelli, le bombe incendiarie, i sassi, il proprio corpo come un orgoglioso scudo, sono solo il contorno, lo sfondo appunto, di una tragedia immane. Amira Hass, giornalista ebrea israeliana, che vive nei territori palestinesi perché traditrice del suo popolo, scrive: I giovani palestinesi non vanno ad uccidere gli ebrei perché sono ebrei ma perché noi siamo gli occupanti, i torturatori, gli aguzzini, i ladri della loro terra e della loro acqua, i distruttori delle loro case … I palestinesi combattono per la loro vita, Israele combatte per l’occupazione … Parole chiare che vanno oltre l’ipocrita equidistanza di un pacifismo inconcludente, intento solo a misurare le parole, mentre la barbarie si consuma irrefrenabile.
… Abdo è solo uno e mentre scorrono queste parole arrivano Ahmad, anche lui di 13 anni, Abed, Mohammad e Hussan, e altri ancora, tanti, che riempiono quotidianamente una triste conta e che non avranno spazio fra le mercenarie notizie, ma che non saranno dimenticati in fretta da un intero popolo. Saranno, anzi, presenti nelle barricate palestinesi e daranno la forza nello stringere il pugno per riscrivere la storia.
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