Antropocene, ovvero la nuova epoca geologica determinata dall’influenza dell’uomo sulla natura, sugli equilibri del pianeta.
Questa è la definizione che Paul Krutzen, nobel di chimica, ha introdotto alla fine del secolo scorso per spiegare i cambiamenti climatici in corso a livello planetario come conseguenza dell’azione dell’uomo tecnologico, quello che per intenderci è il prodotto della rivoluzione industriale, soggetto che incide in maniera esponenziale sugli equilibri del pianeta, soprattutto dalla fine della seconda guerra mondiale. Infatti si ha la tendenza a considerare ininfluente la presenza umana in tutto il periodo post glaciale definito Olocene, (periodo in cui è datata interamente la civiltà umana) prima dell’avvento del vapore e dell’industrializzazione.
Nella definizione di Krutzen, che adottiamo per facilità e convenienza , c’è però una contraddizione principale che vogliamo mettere in evidenza subito, così da sgombrare il campo da una certa ambiguità.
Affermare che è l’azione dell’uomo a modificare gli equilibri del pianeta significa mettere sullo stesso piano gli industriali della siderurgia e gli indiani dell’Amazzonia, le compagnie petrolifere e i nomadi Tuareg, i pastori e gli agnelli (questi ultimi : “assiepati alla curva di Lesmo per vedere sfrecciare un orgasmo” *).
Preferiamo quindi chiamare l’epoca geologica attuale, segnata dalla più importante estinzione del vivente (inteso non solo come vita animale ma anche vegetale) che sia mai avvenuta per cause non naturali (intendendo per cause naturali sia l’impatto di meteoriti o altri corpi celesti, o catastrofiche come glaciazioni o intensa attività vulcanica) preferiamo chiamarla dicevamo, “capitalocene”.
Per noi è infatti evidente che il sistema capitalista, l’ideologia dello sfruttamento dell’uomo e della natura per fini di profitto, è responsabile non solo del degrado ambientale planetario e delle estinzioni di massa ma anche della sterilizzazione del pianeta da ogni forma di vita. E non siamo i soli a parlare di ecocidio. Una parte sempre più numerosa del mondo scientifico, comunque quella non compromessa con le lobby dei gruppi di pressione dominanti **, afferma con sempre più forza, che il punto di non ritorno sta per essere superato e che quando la massa critica dei cambiamenti ambientali sarà raggiunta nessun piano B sarà possibile.
Rischiando di essere accusati di massimalismo tenteremo una descrizione dell’agire predatorio della borghesia capitalista, parleremo delle sue illusioni di sopravvivere, magari grazie alle tecnoscienze, in un mondo agonizzante. Infine avanzeremo sul delicato terreno del che fare e di come organizzare la resistenza.
La Terra, il pianeta sul quale viviamo ormai in più di sei miliardi, è un mondo finito; nel senso che ha un confine naturale che è lo spazio e una superficie finita. Ora, un ecosistema finito non può crescere all’infinito, le risorse naturali vengono consumate e si esauriscono (minerali, idrocarburi, terre arabili, foreste primarie) in processo di annichilamento produttore di energia-merce, che è al contempo inquinante e distruttore dell’habitat planetario. Una verità lapalissiana che si presta però a interpretazioni e strumentalizzazioni. Chi fa valere che la crescita esponenziale della popolazione, soprattutto nel terzo mondo, è responsabile della crisi ecologica attuale, mente in completa malafede. Infatti la situazione di crisi attuale dell’ecosistema è dovuto essenzialmente alle attività industriali dell’occidente capitalista. Ora, poiché il sistema capitalista si è ramificato in tutte le aree del pianeta, esportando, insieme alla cultura del profitto anche la brama di consumo delle merci, è più che naturale che ogni abitante del pianeta ambisca al “benessere” che gli occidentali hanno a disposizione da più di un secolo.
Quindi, piuttosto che mettere in avanti un Maltusianismo d’accatto, occorre porre freno senza indugi alla follia consumistica che serve gli interessi di una borghesia accecata dal profitto. La popolazione mondiale si stabilizzerà nel momento in cui fare figli, per i diseredati, non sarà più una necessità legata alla mortalità infantile o alla sussistenza, o alla creazione di braccia da lavoro, come già accadeva in occidente, dove ancora a metà del secolo scorso le famiglie numerose erano la regola e non l’eccezione.
In effetti in occidente si vuole negare ad “altri” quel diritto che ci si arroga per se stessi. Ci sentiamo ripetere ossessivamente che il PIL deve crescere almeno del 3%, che bisogna far ripartire i consumi, aumentare le esportazioni essere più competitivi, efficienti, produttivi … inchinarsi al feticcio merce, sacrificargli non solo la propria esistenza, il tempo di lavoro, la propria alienazione, ma anche le sorti della vita in tutte le sue manifestazioni.
Le conseguenze dei cambiamenti climatici epocali prodotti dalle tecniche dei modi di produzione capitalisti sono facilmente visibili e documentabili, sia che si tratti dell’immenso continente di materie plastiche che galleggia in pieno oceano Pacifico e che minaccia la vita marina di tutto il settore del sud-est asiatico, quindi la pesca e la sussistenza di milioni di persone, sia che si tratti dei sempre più numerosi terremoti che nell’ultimo decennio stanno scuotendo gli USA a causa della frammentazione della roccia profonda per favorire l’estrazione di gas e petrolio di cisto.
La desertificazione di intere aree del pianeta, milioni di persone che non hanno accesso all’acqua potabile, le foreste primarie ridotte in cenere, la scomparsa lenta ma inesorabile dei poli sono alcuni dei problemi centrali che occorre aggredire e risolvere immediatamente, ma tutte le conferenze internazionali sul clima si sono tradotte in inutili farse. Il commercio delle quote d’inquinamento che i paesi “non industrializzati” vendono alle nazioni forti del capitalismo avanzato sono l’unico fatto concreto di summit in cui la sola decisione politica è quella di non prendere decisioni.
Resta il fatto che i paesi poveri pagano più duramente la crisi ecologica globale, proprio perché non sono attrezzati per affrontarla. L’aspetto più visibile di questa sofferenza sono gli esodi di massa che spingono milioni di persone a spostarsi dentro gli immensi campi di rifugiati che costellano l’Africa orientale sino ai bordi del mediterraneo. Milioni di persone figli di una guerra minore ma forse più letale .
All’opposto l’occidente vive immerso nelle sue illusioni tecno-futuriste tra droni che trasportano la posta e i pacchi di Amazon, come bombe intelligenti dentro il cervello delle masse adoranti il dio tecnologico. Le stampanti 3D che creano i tasselli di un mondo sempre più artificiale fatto di muri e recinti per contenere i diversi, ma anche cannucce (“umanitarie”) con filtri capaci di purificare l’acqua infetta che milioni di africani sono costretti ancora a bere per sopravvivere nel deserto di miseria in cui lo sfruttamento occidentale li costringe.
“Filosoficamente” si va affermando l’idea che questa condizione d’iniqua diversità di qualità della vita tra paesi ricchi e paesi poveri sia una necessità e non una mostruosa ingiustizia, o allora che la si può imputare al ritardo di civilizzazione, al fatto che “l’uomo africano non sia entrato nella storia” come sostenne poche anni fa Sarkosy in un discorso tristemente famoso tenuto a Dakar di fronte a un élite africana succube e corrotta che restò pavidamente muta di fronte all’arroganza dell’antico colonizzatore.
Oggi questo discorso fascistoide viene assimilato e si sta generalizzando tra le “opinioni pubbliche” europee.
Il fatto che la povertà e le guerre aumentino in proporzioni epocali ogni giorno ai confini del “mondo civile” è considerato più una colpa dei diseredati che non la conseguenza della politica coloniale e dell’imperialismo capitalista.
Occorre operare un cambio di paradigma, mettere al centro delle riflessioni politiche non solo il superamento dell’antropocentrismo ma anche e soprattutto il superamento definitivo del sistema capitalista e delle sue leggi. Se l’antropocentrismo lo si supera attraverso un processo di lunga lena che pensi e realizzi una co-evoluzione di tutte le specie viventi di cui l’uomo rappresenta il solo elemento distruttivo, ma anche, arrivati a questo punto, la sola specie che è capace, se prende le decisioni giuste rapidamente, di praticare un’inversione di tendenza.
Per superare il capitalismo occorre forse un nuovo pensiero rivoluzionario, una teoria della complessità che dagli strumenti più che attuali del Marxismo sappia evincere progetti di organizzazione e lotta per il proletariato multinazionale. Non sappiamo se questi passaggi saranno possibili, sappiamo che sono necessari.
UBIK – giugno 2015
note:
* “Il mostro è uscito dal mare” Gianfranco Manfredi.
**Argomento di una parte del mondo scientifico: I vuoti lasciati dalle specie estinte sono colonizzate da nuove specie, quindi le estinzioni favoriscono l’apparizione della diversità, questo ragionamento, per quanto basato su un’ipotesi reale, ignora volontariamente i tempi lunghi dell’evoluzione. Infatti dopo l’ultima estinzione di massa, quella che 65 milioni di anni fa ha portato alla scomparsa dei dinosauri, sono occorsi 50000 anni per vedere emergere nuove diversificazioni e 5 milioni di anni per vedere emergere forme di vita che sono sopravvissute sino ai nostri giorni, come fa notare Vincent DEVICTOR nel suo illuminante testo “Natura in crisi”. Ci chiediamo quindi chi può ragionevolmente prendere in considerazione questo argomento per giustificare “l’inevitabile marcia del progresso”.
Commenti recenti