Assedio preventivo

assedio preventivo

 

Un’operazione su base continentale è in atto già da qualche mese, un “patriotic act” all’europea sta scuotendo le fondamenta dei sistemi giuridici del “vecchio continente”, in prima fila alcune nazioni che portano avanti una revisione del diritto penale per riconfigurarlo come diritto di guerra; una guerra dichiarata contro il djihadismo, una mascherata contro la conflittualità sociale, l’antagonismo, le lotte di classe.

Dal 7 gennaio, dall’attacco degli affiliati all’ISIS (stato islamico in Iraq e Siria o anche, in arabo, DAECH) contro charlie hebdo sono state messe in campo, in Francia soprattutto, ma in maniera più discreta in Spagna, Germania, e anche in Italia campagne mediatiche basate sulla strategia della paura.

Le tecniche della propaganda per preparare le “masse” alla legislazione d’emergenza sono quelle classiche della disinformazione: Individuare un nemico e lasciare abbastanza incertezza sulla sua identità tanto da permettere di fare rientrare nella definizione soggetti diversi in funzione della necessità di colpire gli uni o gli altri secondo l’assioma manicheo: o sei con me o sei contro di me.

I media occidentali sono stati, e sono ancora una volta, la struttura centrale sulla quale si sono innestate tutte le campagne di creazione tecnica della figura “mitica” del nemico. Non pensiamo nemmeno che tutti i giornalisti siano dei servi del potere (molti lo sono e anche in maniera spudorata), pensiamo semplicemente che i media siano l’espressione naturale dell’ideologia dominante. Propaganda quindi, e se non basta raccontare la spietatezza degli assalitori, bisogna parlare di come i terroristi riescano a indottrinare, tramite internet, nuovi combattenti e giovani donne di nazionalità di paesi europei da dare in moglie a combattenti della jihad in Siria o in Iraq.

Il “nemico interno combattente” può essere il vicino di casa musulmano, la compagna di scuola che non mangia carne di maiale, l’assistente sociale col velo, il primo barbuto con profilo mediorentale, il nero con abiti tradizionali.

La scienza del controllo sociale è entrata nell’essenza stessa del quotidiano delle masse metropolitane di un’occidente schizofrenico che si sente accerchiato e solleva in risposta le barriere fisiche ai confini del benessere “minacciato” mentre all’interno mette in atto uno stato d’assedio basato sul controllo a geometria variabile del territorio.

Nei quartieri popolari, le zone suburbane, le cités delle sconfinate periferie dove sono ghettizzate le immense schiere di giovani proletari disoccupati, sottoccupati o che lavorano al nero, che si sbattono nel piccolo traffico di droga o nell’economia dei piccoli furti, che semplicemente cercano di sopravvivere al determinismo sociale che li vuole perdenti, in questi quartieri “l’amministrazione” si sta dando da fare per creare i nodi di controllo totale delle comunicazioni attraverso l’installazione di vere centrali di raccolta e registrazione che la legislazione eccezionale francese ha chiamato “scatole nere” ma che in realtà sono delle antenne che si inseriscono tra l’utilizzatore e l’operatore telecom (con la complicità di tutti gli operatori telecom) passando al setaccio tutto il traffico telefonico e informatico della popolazione residente.

Ed è questa la prima grande differenza con il tipo di spionaggio sociale precedente, che riguardava soggetti e gruppi ben definiti nelle categorie giuridiche necessarie a giustificare il controllo: terroristi, fiancheggiatori, trafficanti, spacciatori … Ora, in nome della sicurezza nazionale si può e si controlla tutto e tutti.

Per farlo basta poco, dato che tutto è registrato, basta indirizzare la ricerca su un quartiere particolare, poi una palazzina in particolare e ascoltare tutto ciò che viene emesso e tutto ciò che viene ricevuto.

Male che vada se non si trovano terroristi si potrà comunque creare una banca dati delle coppie infedeli, di evasori fiscali, di preferenze sessuali, di pettegolezzi da condominio. Tutto resterà consegnato agli archivi di polizia e servizi, tutto potrà, ora o domani, essere usato contro l’ignaro cittadino la cui sola colpa è quella di avere accettato uno stato di polizia per lenire le proprie paure, quelle paure che come un virus gli sono state introdotte nel cervello.

Il controllo sociale passa anche attraverso la differenziazione, la costruzione di categorie socio-economiche da rinchiudere dentro ghetti urbani, “aree omogenee” di composizione di classe, atte a essere contrapposte, se necessario.

Ma davvero c’è qualcuno che crede che questa sofisticata macchina da guerra sia stata creata in funzione antiterrorista, anti-jihadista?

Noi vediamo piuttosto una connessione con l’evoluzione dell’ordine mondiale che altrove abbiamo chiamato “stati di guerra permanente”, considerando questa come la condizione di belligeranza totale su cui il capitale gestisce la divisione internazionale del lavoro. Storicamente il capitale si adegua alle mutazioni che non riesce a dirigere e usa la guerra per imporre l’ordine necessario alla propria esistenza.

La storia del Novecento potrebbe servire da paradigma di questo impianto che ha nelle due guerre mondiali e nella “guerra fredda” la scenografia tragica e spietata della distorsione del pensiero machiavellico (il fine giustifica i mezzi) per “il profitto giustifica i mezzi”; il profitto come fine, regola e legge che diviene universale; moderno Principe a cui dovere obbedienza e sacrificare la propria libertà.

Però, la lotta di classe, anche quando sembra assopita, vinta, superata, scava i tunnel che minano le fondamenta dell’ordine mondiale. La complessità con la quale il conservatorismo si esprime a livello globale non deve ingannarci. Non ci devono ingannare le forme politiche, economiche, religiose, che il profitto assume di volta in volta in ogni angolo del pianeta, il “nuovo ordine mondiale” è foriero di disordine e di caos malgrado la grande complessità di costruzione delle società disciplinari.

Dopo Wikileaks e Eduard Snowden nessuno può più dire : “io non sapevo”, questo non possono più farlo nemmeno le anime più candide della sinistra e più in generale quelle della variegata area altermondialista.

E’ tempo di realizzare che bisogna organizzare la resistenza al sistema capitalista senza aspettare una ipotetica rottura del sistema dall’interno. Di fatto la pur clamorosa rinuncia del senato americano a ricondurre il patriotic act nelle forme precedenti è solo una piccola concessione alle “libertà costituzionali” perché l’amministrazione del premio Nobel per la pace Obama, ha già in cantiere un “freedom act”, legge illiberale come la precedente, che dimostra che i politici americani hanno una comicità innata, chiamando libero un atto che nega le libertà collettive.

L’Europa si appropria della strategia della NSA che pure ha miseramente fallito, non essendo stata capace di anticipare né gli attentati né le scorribande di Al kaeda e dell’ISIS, realizzando però insieme ai big data la più grande raccolta di dati personali provenienti dalla più importante schedatura di massa della storia.

Il vero obiettivo delle leggi “eccezionali” sul controllo del web e della telefonia è il proletariato metropolitano, sono i soggetti sociali marginalizzati dai processi produttivi, scartati dalla ridistribuzione del reddito, esautorati dalla ricchezza generale. Un proletariato che cova la propria rabbia e la propria frustrazione e che non aspetta che l’occasione per dare una lezione definitiva agli sfruttatori.

Occorrerà fare prova d’immaginazione e determinazione, la lotta sarà rude, ma la resistenza nella metropoli capitalista deve continuare!

UBIK   Giugno 2015