IL PRIMO MAGGIO NON C’È NIENTE DA FESTEGGIARE

no expo2Riceviamo e pubblichiamo da Ǝ-Spò Nuoro

Il primo maggio viene inaugurata a Milano l’esposizione universale, quest’evento ad uno sguardo superficiale può sembrare un’opportunità per risollevare l’economia e fornire l’occasione di creare condivisione, discutere e valutare modelli di sviluppo alternativi. Ma assumendo un punto di vista meno fiducioso e soffermandosi ad analizzare nella pratica quest’evento si palesa la millanteria, il danno ecologico, economico e sociale che porta con se. Bisogna prendere atto che Expo è un esempio del modello di gestione che la nostra classe politica cerca di far passare da anni, quello dello stato straordinario ed emergenziale (vedi g8, catastrofi naturali, grandi opere ed appunto i grandi eventi) con cui vengono imposti e giustificati cambiamenti che “democraticamente” sarebbero inattuabili, soprassedendo alle decisioni locali, drenando risorse da settori quali l’istruzione e l’abitare, speculando sul denaro pubblico tramite la fondazione aziende di diritto privato per la gestione di enti e fondi pubblici (vedi Expo s.p.a., TAV s.p.a., ecc.) e utilizzandolo come laboratorio di sperimentazione di nuove politiche sul lavoro sia per anticipare ciò che verrà applicato a livello nazionale che per favorire lo sfruttamento del lavoro non retribuito e privo di garanzie.
“Nutrire il pianeta, energia per la vita” è il motto dell’esposizione che lascia intendere i principali argomenti di cui vorrebbe far parlare: sviluppo sostenibile, ecologia, alimentazione salutare, condivisione del benessere. Un evento, a sentire la propaganda, dedito alla natura e all’ecologia che dovrebbe favorire i piccoli contadini, un rapporto diretto con la terra, basato sull’acquisto solidale, la vendita diretta, il chilometro zero e la diffusione del biologico all’intera popolazione. Ma la partecipazione delle principali multinazionali dell’industria alimentare, della grande distribuzione e gli investimenti sull’evento da parte di colossi dell’agroindustria, che detengono il monopolio sulla mercificazione delle sementi, la gestione di quelle geneticamente modificate e, che supportano le politiche di sfruttamento intensivo ed estensivo dei terreni e il sostegno ad un’agricoltura di tipo industriale, sono tutti elementi che raccontano un modello che nulla ha a che fare con il “ritorno alla terra” e che moltiplicano i rapporti di dipendenza dei paesi economicamente indigenti verso quelli più ricchi. Alla luce di ciò, il problema è se il reale fine di questo evento sia realmente quello di aprire la strada ad un nuovo modello di sviluppo o sia principalmente quello di offrire alle solite aziende l’occasione di ripulire la loro facciata da scandali e di distogliere l’attenzione dal loro reale atteggiamento in campo economico, ecologico e sociale; una buona pubblicità, ottimo investimento per accaparrarsi nuove fette di mercato senza attuare effettivamente alcun cambio di rotta.
Inoltre non si possono nascondere le ripercussioni territoriali di questo grande evento: enormi colate di cemento sui campi agricoli, inglobati dalle aree espositive col contentino di seminare qualche mq in città, decine di chilometri di nuovi percorsi autostradali su aree agricole o parchi, con il taglio di migliaia di piante e la distruzione di habitat, opere tanto edonistiche quanto nocive per l’ambiente ed inutili per la società.
Rispetto all’alimentazione sono paventati argomenti quali il “benessere animale” e la sovranità alimentare, il primo è un concetto inventato per rendere più accettabile la catena di smontaggio da individui a cibo, in modo da confortare i consumatori e nascondere i problemi etici, ecologici, di salute ed economici correlati ai modelli di allevamento intensivo ed estensivo ormai evidenti ed inaccettabili. Il secondo descrive un modello di controllo sui meccanismi e le politiche di produzione e distribuzione di cibo definito localmente senza la mediazione delle corporazioni e le istituzioni di mercato che oggi dominano il sistema alimentare globale; è evidente dalle politiche nazionali, internazionali e delle aziende che prendono parte all’Expo quanto sia lontano questo concetto dal modo di trattare il tema dell’alimentazione da chi effettivamente fa l’esposizione.
Ma Expo vuole essere più di questo, vuole parlare di genere: da un lato, con Women for Expo, vuole dare un triplice modello della donna: tradizionale come regina della casa, come lavoratrice intraprendente nei campi però adatti a lei e come prostituta che deve essere salvata e protetta dalla società; figure che rinchiudono la donna in una posizione di fragilità e di subordinazione continuando a mantenere la disparità di posizione rispetto al sesso. Dall’altro, con il progetto di far nascere un distretto omosessuale per incentivare il turismo gay, cercano di ghettizzare l’omosessualità e di istituzionalizzare gli individui “non normati” e le comunità LGBTIQ in maniera economicamente produttiva ed omonazionalista.
Infine gli organizzatori promuovono Expo come l’occasione di risollevare economicamente il paese anche se realmente si concretizza una precarietà lavorativa, che oltrepassa la dimensione della crisi e diventa dispositivo strutturale giustificato dalle politiche di austerità che sottendono al sistema capitalista e alla sua sopravvivenza. Tramite deroghe al patto di stabilità ed accordi con i sindacati viene stravolto il lavoro a tempo determinato, tramite l’apprendistato, gli stage e i tirocini vengono create figure professionali che nel futuro non avranno alcuna possibilità di impiego assicurandosi lavoratori al prezzo di un piccolo
rimborso o semplicemente non retribuiti. Per non parlare dei volontari che l’organizzazione stimava come 18500 inizialmente (ora drasticamente ridotti), come tipologia prevalente di manodopera. Si cercano lavoratori disoccupati ed inoccupati da inserire nei processi di perenne occupabilità, ma per Expo lavorano gratuitamente gli studenti medi ed universitari, cui vengono imposti progetti e lavori con il ricatto del voto finale, della promozione o del “fare curriculum”. Con Expo viene quindi esplicitato l’obiettivo delle politiche lavorative delle ultime due decadi: da lavoratori a tempo indeterminato si è costretti ad accettare qualsiasi forma di tempo determinato; politiche che hanno portato a una crescente precarietà culminante, ora, nello sfruttamento puro e semplice. Con Expo continua l’economia della speranza rivolta al lavoro, per cui la condizione di sognare un futuro prima o poi stabile, parte già dal mondo della formazione e si materializza nel tempo come un miraggio irraggiungibile. Una speranza che, in fondo al percorso, diviene ricatto e minaccia d’esclusione sociale, per rimpolpare un esercito di riserva mai così numeroso.
Emblematica è la scelta della data di apertura di questo evento, il primo maggio giorno dei lavoratori.
Nel 1886 in tutto il mondo le associazioni di lavoratori cominciarono a rivendicare le otto ore lavorative, negli Stati Uniti ci furono numerose mobilitazioni; in particolare, a Chicago, si susseguirono giornate di scioperi e manifestazioni nei primi giorni di maggio che culminarono il 3 maggio con i picchetti davanti alle fabbriche Mc Cormick, in Haymarket Square; al termine della giornata la polizia caricò i manifestanti ed aprì il fuoco uccidendone 4 e ferendone numerosi. Il giorno successivo ci fu un presidio in Haymarket Square dove alcuni anarchici tennero un comizio alla folla, ma prima che l’ultimo finisse la polizia caricò e nella confusione una bomba esplose in mezzo ad un reparto della polizia uccidendo un poliziotto; le cariche continuarono ancor più violente, fu aperto nuovamente il fuoco e 11 persone (tra cui 7 poliziotti colpiti da fuoco amico) morirono. Da quel giorno iniziò la campagna persecutoria nei confronti di anarchici e socialisti, scatenando le reazioni delle masse. Il 7 maggio ci fu il primo arresto, il 4 giugno altri 7. Il processo iniziato il 21 giugno si concluse il 19 agosto, senza che fosse stabilito chi avesse lanciato l’ordigno, con la condanna a morte per 7 imputati e 15 anni di prigione per l’altro. L’11 novembre 1887 furono impiccati 5 dei condannati, gli altri 3 furono successivamente graziati. Ma il caso dei martiri di Chicago divenne il simbolo della persecuzione degli anarchici, con un processo politico, incentrato su prove indiziarie. La comunità internazionale non li dimenticò e nel 1890 fu istituita nel primo maggio la giornata dei lavoratori, un giorno di mobilitazione per rivendicare la dignità ed i diritti di chi lavora e lotta e per commemorare gli episodi di Chicago.
Oggi il primo maggio è un giorno ridotto a mero festeggiamento dagli “pseudosindacalisti” che, in combutta con il padronato e lo stato nazionale, hanno abbandonato la combattività e seppellito la memoria per spartire miserevolmente le briciole del capitale, lasciando che le coscienze della classe lavoratrice si assopissero. Ma nonostante questo c’è tuttora chi non dimentica e sa che il primo maggio vive nella lotta. Nella resistenza contadina al latifondo, nelle lotte dei migranti che rifiutano lo stato di miseria e sfidano il mare e le frontiere per essere trattati come schiavi dalla fortezza europa, nella lotta per l’autodeterminazione, per avere una casa o uno spazio in cui esprimersi. Per queste ragioni diamo la nostra piena solidarietà al movimento NoExpo e a tutti coloro che ricordano che il primo maggio non è un giorno per far feste o concerti ma per prendere ciò che è nostro, che è stato conquistato col sangue e che oggi ci vogliono togliere.
Per maggiori informazioni sui comitati NoExpo consultate www.noexpo.org
Ǝ-Spò Nuoro