Alcune considerazioni su nazionalismo e neofascismo nell’Europa contemporanea In Europa il vaso di pandora del pensiero neofascista è stato aperto con un tempismo straordinario in tutte le nazioni allo stesso tempo. Dal vaso sono emerse le orde di squadristi che assaltano i campi dei migranti, bruciando povere baracche e decrepite roulotte. Le stesse orde di oscuri crani rasati che ai cancelli dei campi rom impediscono ai bambini di andare a scuola, gli stessi con le stesse bandiere che pestano i gay e i clochard a Roma come Monaco, a Parigi come ad Oslo. (Sui fascisti italiani, sulle scorrerie di “casa Pound”, sulle sue implicazioni in affari loschi pubblicheremo presto un doc specifico) Dietro le quinte, i nazional fascisti in doppiopetto raccolgono i frutti dell’inettitudine dei governi europei, della doppiezza e dell’ambiguità delle classi politiche dominanti di destra e di sinistra. Cresce, dalle ceneri del fascismo nostalgico, una nuova classe dirigente di estrema destra. Politici giovani, dai volti presentabili e dal linguaggio levigato che però portano avanti progetti politici incentrati sulle teorie della vulgata della destra storica: difesa della razza, dell’identità e sovranità nazionale, dei valori cristiani, della famiglia. Dentro questi parametri identitari si riconosce sia la piccola borghesia omofoba della destra cattolica, che occupa la piazza in difesa della “famiglia”, contro l’adozione e il matrimonio per le copie gay, sia una larga parte della classe media in via di proletarizzazione a causa dei contraccolpi della crisi.
Infine si riconosce una fetta crescente di proletariato che in altri tempi era lo zoccolo duro della sinistra storica e che oggi, perso ogni riferimento di classe, è attratto dalle sirene del discorso rassicurante delle categorie sociologiche della destra che dà loro in pasto il colpevole ideale: l’immigrato, lo straniero, il rom, il musulmano, in definitiva, “quelli che vengono a mangiare il nostro pane e che non rispettano le nostre leggi e tradizioni”.1
Il capro espiatorio della lunga deriva dell’esplosione della crisi finanziaria del 2008 che alla perdita del potere d’acquisto ha coniugato la crescita esponenziale della disoccupazione ed
1 Siamo tutti dei possibili indesiderabili per qualcun altro. In Inghilterra per esempio sono gli italiani, i greci, gli spagnoli, portoghesi, polacchi …che vengono considerati come degli intrusi che profittano del sistema sociale britannico. I politici inglesi, usano gli uni contro gli altri l’accusa di eccessiva permissività verso gli immigrati continentali e propongono il numero chiuso, l’immigrazione selettiva, infine l’espulsione di tutti quegli europei che non hanno un certificato di lavoro. L’estrema destra rispolvera per l’occasione il dispregiativo “meticci” che in anni lontani è stato usato dagli anglosassoni per stigmatizzare i popoli latini .
una pressione fiscale opprimente, ha infine un nome che si può pronunciare senza più timori, è “l’altro”. La banalizzazione del pensiero razzista, la xenofobia da bar e da stadio sta lentamente permeando la società europea. La parola si è liberata e non ha più bisogno di metafore, ora si può dire negro senza nascondersi dietro l’ignoranza. Il politicamente corretto “uomo di colore” è solo la vestigia di un recente passato ipocrita di buone intenzioni; ora il re è davvero nudo! La crisi economica produce oggi, come già negli anni trenta, la rottura etica necessaria alla perdita del significato di umanità che contraddistingue “l’altro”, il proprio simile, come soggetto riconducibile alla categoria umana. Disumanizzare l’altro, renderlo estraneo alla propria “umanità” e quindi ricondurlo allo stato bestiale per potergli negare quelle qualità umane che fanno sì che ci riconosca nell’altro aldilà del colore della pelle, dell’etnia, della lingua, della religione. Una volta ridotto l’altro allo stato animale si può iniziare l’opera di separazione, demonizzazione, distruzione. Una volta completata l’opera di disumanizzazione dell’altro si può infine procedere a trattarlo come cosa, oggetto di cui disporre. Dentro questo passaggio ideologico ha potuto crescere e prendere corpo l’olocausto, dentro questa aberrazione ha potuto manifestarsi il volto indifferente della ferocia che Hanna Arendt definì “la banalità del male” parlando del burocrate Eichmann che si giustificava dalle accuse di genocidio affermando di essere un semplice esecutore di ordini. Niente forzature storiche, bisogna paragonare ciò che è paragonabile ed è vero che l’Europa contemporanea non è uguale a quella degli anni trenta, così come la Germania attuale è molto diversa da quella di Weimar ed un nuovo Hitler è molto probabilmente impossibile, ma oggi i venti di guerra spirano da climi ancora più freddi, ovvero dalla Russia di Putin.
Putin, la sua retorica autoritaria, la sua disinvoltura nell’uso delle armi, perfino il suo culto narcisistico con esibizioni “macho” a cavallo e a caccia di tigri, a nuoto in laghi ghiacciati, che tanto ricordano i dittatori alla Mussolini con la piccozza a petto nudo circondato da contadini o mentre si bagna fiero in certi filmati propaganda dell’istituto LUCE e che oggi ci appaiono non solo incomprensibili ma perfino ridicoli. 2 Questo Putin dicevamo è il punto di riferimento a cui s’ispira la nuova destra europea (alla ricerca di modelli meno compromessi col nazismo come fu invece per la generazione precedente) per ammissione degli stessi leader di questi movimenti che si recano a Mosca in pellegrinaggio per ottenere finanziamenti e riconoscimenti. Non è un caso se tutta l’estrema destra europea si è schierata contro l’embargo economico seguito all’intervento militare in Ucraina, non si sputa sul piatto nel quale si mangia. (Qui non parliamo delle provocazioni della NATO, dei radar e strutture missilistiche che questa sta installando in Polonia e in altri paesi dell’ex patto di Varsavia e che la Russia può legittimamente sentire come una minaccia diretta, qui parliamo di Putin come politico autoritario, come governante repressivo. Ne parliamo nel contesto della rinascita di un pensiero politico totalitario.) Ora con i soldi di Putin, l’estrema destra europea può organizzare la propria rete di media, assoldare intellettuali e pennivendoli revisionisti per riscrivere la storia, riabilitare Pétain e Franco, domani forse anche Hitler, così come in Italia è stato già riabilitato Mussolini e la repubblica di Salò durante il ventennio berlusconiano.
2 Ma forse lo erano già allora. Michelangelo Pira racconta, ne “La rivolta dell’oggetto”, di quel soldato di Bitti che trovandosi a Roma durante una sfilata a cui partecipava Mussolini, di cui sapeva solo dalla pubblicistica fascista, nel vederlo abbia esclamato: tottu inoke este Mussolini, si l’accanzamus jeo e su carrale l’acchimus a cantos
In nome della difesa dello stato nazione e della identità religiosa, della presunta superiorità culturale e per la difesa del lavoro come priorità nazionale, contro le “invasioni barbariche”; l’estrema destra “presentabile” si appresta a governare gli stati europei, forte di una crescente adesione alle tesi segregazioniste nei confronti delle popolazioni immigrate, comprese quelle di seconda e terza generazione, che già marginalizzate nel mercato del lavoro, sono ora anche sospettate di essere un potenziale nemico interno per la semplice ragione di credere in un dio diverso.
In Italia, questo progetto politico è visibile nel cambio di paradigma operato recentemente dalla Lega nord, che da padana si è trasformata in “nazionale” e che in nome e in difesa di questa identità si è autoproclamata paladina, con gli stessi progetti politici e gli stessi metodi di tutta la destra nazional fascista europea di cui, i militanti leghisti, sono i veri interpreti ed epigoni.
Nella vicina Ungheria questa destra nazional fascista è già da anni al governo con il partito reazionario del leader Victor Orban che si è distinto per le politiche segregazioniste contro i rom, le politiche economiche autarchiche, lo squadrismo contro le opposizioni, l’annullamento delle conquiste sociali degli ultimi venti anni; bisogna dire che anche qui l’ispiratore e maggior sostenitore è proprio Putin.
Vediamo emergere sotto i nostri occhi un’Europa stretta tra due tendenze maggiori.
La prima quella che attualmente governa la maggior parte degli stati è l’Europa di Bruxelles e della burocrazia transnazionale, del capitale finanziario e dell’Euro, del rigore budgetario imposto dagli stati del nord sotto la spinta della supremazia tedesca. Un’Europa a due velocità che pilota la crisi in funzioni degli interesse del gran capitale finanziario della CITY e di quello industriale pangermanico di cui la BCE è una semplice appendice, alla faccia di M. Draghi, un’Europa che impoverisce le nazioni del sud, le cui economie vengono commissariate, i beni spoliati, le classi politiche subordinate.
La seconda è quella che ci propongono i nazional fascisti in doppio petto ed il loro squadrismo malamente tenute a freno.
Ci opporremo ad entrambe! Alla prima con l’opposizione politica, alla seconda con l’antifascismo militante, no pasaran!
Come abbiamo detto altrove noi siamo internazionalisti e ci battiamo per un’Europa senza frontiere e proletaria, multirazziale e multiculturale.
Un’Europa anticapitalista e antimperialista che deve essere basata sulla giustizia sociale e sulla ridistribuzione della ricchezza prodotta che attualmente profitta solo al capitale di rendita, mentre masse sempre più importanti di proletari finiscono nella marginalità e nella povertà assoluta.
Sappiamo bene che questi discorsi sono difficili da fare e fare condividere. Sappiamo bene che la crisi di cui abbiamo parlato più sopra produce dolore e egoismo, e che la tentazione di chiudersi in se stessi, di considerare che “la barca è piena” è forte, e però è proprio da qui che deve ripartire il nostro impegno antifascista.
Dobbiamo fare emergere la diversità dalla subalternità in cui sfruttatori e fascisti la vogliono inchiodare come semplice forza lavoro o come nemico da combattere.
Dobbiamo dare la voce a chi oggi viene marginalizzato in funzione del colore della pelle, della religione, della nazionalità o della povertà.
Qui a fianco pubblichiamo una lunga discussione con Carla, donna italiana d’origine Eritrea, una storia di discriminazione ma anche di solidarietà e resistenza, di coraggio.
MORAS Gennaio 2015
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