La potenza del dominio

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Su internet mi sono imbattuto in un articolo, di un quotidiano nazionale, dove c’era un’intervista ad un precario, assunto a tempo determinato da una grossa ditta manifatturiera. Mi ha incuriosito perché l’intervistato diceva, in sostanza, che per risolvere i problemi della “sua” azienda , bisognava aumentare il precariato fra i “garantiti”, per esserci più “equità” fra i lavoratori, per creare nuovi posti di lavoro e dare così ossigeno all’azienda. Nei giorni scorsi, sul Tg Sardegna, ho visto un servizio su una manifestazione, con tanto di mamme con figli a presso, dove si dava solidarietà agli “addetti” di una base militare, e ho sentito le stesse madri parlare del “futuro” dei loro figli messo a repentaglio da chi queste basi le vorrebbe chiuse. Due notizie, a mio avviso, che dimostrano la potenza della vulgata dominante. La logica del mal comune mezzo gaudio, del sacrificio e dell’ accontentarsi, che il potere utilizza e impartisce sull’immane fila della mediocrità comune, con il bombardamento mediatico dove persino il “nulla” è contesto di studi e analisi, è uno dei mezzi più sofisticati che il sistema utilizza per manomettere la realtà delle sue nefandezze . La precarietà quotidiana, e non solo quella lavorativa, ma anzi e soprattutto, quella sociale e morale, a lungo tempo, ha creato la mostruosità del “sopravvivere” a tutti i costi, anche se col guinzaglio al collo.
L’assoggettamento alla dottrina governativa e istituzionale è il frutto di decenni di anestesia totale, tracciata da una politica asserragliata nelle “istituzioni”, burocratizzata e resa distante e incompressibile.
La misera quotidianità imposta, i soprusi del potere insinuati a piccole dosi, il vivere da servi senza riuscire a vedere le proprie catene nascoste dalla “corruzione” mentale, hanno costruito il Dna del giovane intervistato e della madre disposta ad accettare la logica guerrafondaia per il futuro del figlio. Il dna di un’intera generazione, cresciuta in questa anomalia divenuta normalità.Lo sfaldamento sociale, l’arrangiarsi nel raggiungere il traguardo (precario), sgomitando nella corsa anche i suoi pari, che si estende fino all’odio e all’indifferenza verso il debole o semplicemente povero, o verso interi popoli massacrati da decenni di guerre assurde e crudeli, è correlante a ciò che il potere, in anni e anni di mistificazione, è riuscito a portare a termine, sconfiggendo così ogni illusione “democratica” di chi sognava ancora manovre possibili per migliorare l’esistente; nel fra tempo l’esistente è stato annullato dal vuoto totale. La logica dei due esempi, marcia a pari passo con la società odierna, con le contrattazioni da svendita nel mondo del lavoro, con una scuola revisionista e di classe utilizzata per sfornare adepti e ingranaggi “statali”, le briciole considerate lauti banchetti e la guerra vista come investimento per il futuro, trasforma i registi consapevoli di questo copione, in vincitori da premi oscar, e gli attori di questa sconfitta, in spettatori artefici di grandi applausi, insomma il teatro dell’assurdo.
Ma la storia insegna che non tutti son felici di essere sconfitti e servi, e questo mantiene uno spiraglio di luce, un barlume, che comunque tiene in vita la consapevolezza che una “rottura” è possibile.  Momenti di lotta, conflittualità diffuse, stanno rinascendo e scompaginando agende e prospettive del potere, cercando di scuotere “il sonno della ragione”. Il proletariato metropolitano e non solo, è da diversi anni che sta prendendo voce e anche rumorosamente, al punto che la repressione sguinzagliata “democraticamente”, insegue ogni minimo dettaglio di contrapposizione; dalle occupazioni delle case, al no fermo per tutte le guerre imperialiste, ai picchetti davanti alle fabbriche, ormai non c’è piazza, fabbrica o territori dove la durezza dello scontro e le condanne assurde, non siano quotidiane. Non c’è alternativa, saltate le mediazioni, lo scontro sarà sempre più duro e questo il potere lo sa benissimo; il potere non accetta che qualcuno manometta le sue dosi di narcotico sociale e farà di tutto per evitarlo. Uscire dal torpore indotto per decenni, quindi, non è facile, ma bisogna farlo. Riassaggiando il gusto della rabbia e il diritto all’odio, come si diceva un tempo, per riacquistare un senso vero all’esistenza, togliersi la tuta robotizzante e alienante per riprendersi la dignità, prima che il Dna che dicevo prima, dilaghi e si incunei irreversibilmente.
Nikola 28/10/2014