Istituti finanziari, banche pubbliche e private, università e centri di ricerca, organismi internazionali;tutti pubblicano i loro rapporti sullo stato dell’economia, della società, del lavoro, della disoccupazione e della povertà, della demografia e della mortalità. E’ tempo di tirare i remi in barca e giustificare l’esistenza stessa di questa burocrazia da seconda linea del fronte, mostro amorfo che interpreta i dati di provenienza statistica (EUROSTAT, ISTAT) calcolatori addizionali di disgrazie e dolore. Analizzano tutto, come ogni anno, come da sempre;da quando almeno il ricorso alle statistiche è stato istituzionalizzato per spiegare “a posteriori”, post mortem, lo stato dell’economia e della realtà sociale nella nostra terra e più in generale della Terra intera. In questi giorni lo SVIMEZ ha pubblicato il suo rapporto di sintesi sulla situazione economico sociale del “mezzogiorno”, definizione questa che include,come si sa, per convenzione o facilità o per semplice indifferenza amministrativa, anche la Sardegna. La Banca d’Italia aveva già pubblicato il suo rapporto del 2014 sulla Sardegna nel mese di Giugno e CRENOS territorio (Centro Ricerche Europee Nord Sud, che nello specifico lavora in sinergia con la regione Sardegna) aveva già pubblicato il suo nel maggio 2014, anticipando tutti sul fronte delle “cattive notizie”. Bisogna dire che i sardi, nella stragrande maggioranza, avevano già preso atto da tempo della durezza della crisi che vivono come realtà quotidiana da anni. Comunque, ciò che viene fuori da questi rapporti è una conferma di quello che già emergeva in quelli degli anni scorsi, cioè quello che loro stessi hanno definito ”il deserto umano e industriale” del SUD e più in particolare della Sardegna.(tutti questi documenti saranno messi in linea sul nostro sito a disposizione di chi volesse approfondire)
C’é da notare che nei rapporti degli anni scorsi gli “esperti” ci avvertivano del rischio desertificazione del tessuto economico sociale dell’isola, mentre ora, stanchi di fare le Cassandre, prendono atto della situazione, anche se continuano a consigliare le stesse inutili ricette per uscire dalla crisi. 1 nota 1) Cosa dicono in definitiva questi rapporti sulla Sardegna? Dicono che il PIL dell’isola nel 2013 (i dati si riferiscono sempre all’anno precedente la pubblicazione) è il 77% di quello europeo mentre ancora nel 2010 era l’80 per cento,segnalando una perdita di 3 punti percentuali. Ci dicono che il PIL pro capite ha perso il 3,3 %, scendendo a 17.500 € (nel 2010 era di 19.844, fonti statistiche De Agostini) mentre quello medio italiano è di 23.300 €.
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1 *nota 1 Bisogna dire subito che se Banca Italia oltre a sfornare dirigenti legati mani e piedi al grande capitalismo finanziario e produrre politiche monetarie fallimentari (ai tempi della lira, giacché oggi la politica monetaria europea si fa a Francoforte) non ha mai esercitato veramente il ruolo che una banca centrale dovrebbe avere, se non quello di foraggiare le banche private con i soldi pubblici, come in questi ultimi trent’anni hanno dimostrato diverse inchieste, quella su MPS in ultimo. Lo SVIMEZ, istituto nato come supporto al carrozzone clientelare democristiano della Cassa per il mezzogiorno (nomi che a scriverli ancora oggi danno i brividi…e la nausea) ha esercitato a perfezione il ruolo di ente inutile, centro di riciclaggio di personale legato nel tempo ai vari gruppi politici al potere. Lo SVIMEZ rappresenta una specie di paradigma della persistente metamorfosi del personale burocratico che ha gestito il funerale della cosiddetta questione meridionale dal dopoguerra sino a oggi, attraversando l’avvicendarsi dei vari gruppi politici al potere in sintonia e collusione con ognuno di loro. 2
Nel 2008 le imprese attive in Sardegna erano 151mila, mentre nel 2012 scendono a 146mila, di cui un quarto nel comparto agro-alimentare, settore che ha il più basso tasso di valore aggiunto (2,3%) e che però si mostra come il solo settore attualmente in contro-tendenza, poiché registra un 10% in più sulle esportazioni. Nel 2013 il tasso di disoccupazione sale al 17,5% (quella giovanile si attesta al 54,2%) con un aumento del 2% rispetto all’anno precedente, mentre i disoccupati sono ormai 117mila quando nel 2007 erano appena (se così si può dire) 67mila unità, con una perdita di 50.000 (Cinquantamila!)posti di lavoro in sei anni. Ancora cifre:Il tasso di attività in Sardegna passa dal 61,4% al 58,8% che corrisponde a 247mila potenziali lavoratori alla ricerca di un’occupazione o estremamente precari. I dieci milioni di ore di cassa integrazione del 2013 nel settore manifatturiero dicono chiaramente che le imprese sarde in difficoltà, soprattutto nel settore edilizio, scaricano la patata bollente dei tempi morti sugli organismi istituzionali già in sofferenza, in un gioco al massacro dove il solo vero perdente è il lavoratore che in questi “arrangiamenti” vede prefigurarsi una situazione cronica da disoccupato sine die.
Da notare che i lavoratori con titolo di studio medio basso subiscono maggiormente la crisi dato che il numero di disoccupati di questa categoria passa dal 7,6% del 2007 al 21,1% del 2013; mentre i lavoratori laureati non la subiscono se non in percentuali irrisorie. Tra l’altro quest’ultimo dato dovrebbe farci riflettere sul fatto che la Sardegna è al 257° posto nella classifica della regioni europee per quanto riguarda l’istruzione ed è anche la regione italiana con il più alto tasso di abbandono scolastico; forse questo spiega quello, visto che c’è un rapporto di causa ed effetto tra tasso di occupazione e livello scolastico.*2-nota2) Tutto questo avviene in un contesto depressivo che tocca nel più profondo la composizione sociale dell’isola. Il numero di giovani emigrati continua a salire (soprattutto verso Lombardia, Lazio e Germania) mentre la natalità é del 7,2 per mille superata statisticamente dalla mortalità che sale al 9,2 per mille con un saldo negativo del 2%. E non è finita:Se la popolazione invecchia e i centri dell’entroterra si spopolano, la spesa sanitaria è fortemente in crescita, mentre le famiglie (le FAMIGLIE di cui tutti i populisti si riempiono la bocca quando si tratta di difenderne l’integrità, la coesione, la religiosità, la morale, l’eterosessualità) sono sempre più povere, infatti ben un quarto di queste rientrano in questa definizione con effetti drammatici che le statistiche non possono analizzare…
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2 *nota
2) Ma il confronto economico tra la Sardegna e le altre regioni europee assume una dimensione concreta solo se si prendono in considerazione le regioni dell’area EU mercato comune, che però non fanno ancora parte della zona Euro, quelle che per intenderci sono state “ammesse” per ultime e che sono tutte provenienti dall’ex blocco sovietico: Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Estonia e le altre. L’economia di queste nazioni, della maggior parte delle loro regioni almeno, conosce tassi di crescita abbastanza alti rispetto all’Eurozona. Questo avviene in parte a causa del basso costo del lavoro e del differenziale di valore di scambio delle monete locali rispetto all’Euro e dall’assenza di una protezione sociale degna di questo nome,in parte perché i parametri di convergenza delle economie mondiali di cui parla l’economista T.Piketty sono in atto a livello globale. In questo confronto la Sardegna esce con le ossa rotte. Infatti secondo i dati forniti da Eurostat è proprio rispetto a queste regioni più povere d’Europa che la Sardegna perde in competitività anche e soprattutto a causa dei fondi strutturali in provenienza EU che loro hanno speso mettendoli a frutto, cosa che la Sardegna non ha saputo fare per colpa di una classe politica inetta .Infatti quando si scorre il rapporto sul micro credito, si nota che sulle poche persone che hanno ottenuto dei finanziamenti per portare avanti dei progetti nelle attività più diverse, meno del 10% sono state informate al proposito da istituzioni locali (comuni, province, regioni, uffici del lavoro, agenzie di disoccupazione) mentre la maggioranza è stata informata dal commercialista, internet o amici. Ogni commento sulla classe dirigente sarda é a questo punto superfluo.
I problemi economici possono essere transitori, anche quando dipendono da fattori strutturali, come è il caso della Sardegna; quelli demografici e le loro ricadute hanno tempi più lunghi e sono molto più preoccupanti. 3
Infatti in una società che invecchia inesorabilmente non c’è ricambio generazionale ed è quindi destinata ad estinguersi per consunzione. Senza fare del catastrofismo, occorrerà iniziare una profonda riflessione sui problemi concreti che la crisi di fondo del tardo-capitalismo sta “sputando” fuori dal suo grande corpo malato. Pensioni, sanità, ecosistema, ecosostenibilità, lavoro, reddito di cittadinanza, riduzione del tempo di lavoro, trasporti, immigrazione, sono alcuni dei cantieri di riflessione da aprire per sottrarli alle manipolazioni della classe politica e ridefinirli dentro il pensiero della trasformazione sociale anticapitalista. Vorremmo dire qui che quello che emerge con più forza da questi dati è l’esistenza di una classe dirigente sarda incapace e colpevolmente assente, criminalmente responsabile del degrado della Sardegna e dell’impoverimento progressivo del suo proletariato. Sì, parliamo di classe, perché seppur sedimentata in una composizione a comparti socio-economici, la rottura città campagna nel nostro territorio è meno discriminante verticalmente (ad eccezione, forse dell’hinterland cagliaritano) e anzi la condizione proletaria è largamente condivisa, anche se non in maniera sempre evidente. Ma uno studio specifico sulla composizione di classe in Sardegna va fatto assolutamente,e va fatto incrociando i dati statistici col lavoro sociologico di lungo respiro. Il pessimismo della ragione ci impone quindi di ri-analizzare tutto anche alla luce dei dati crudi e duri. Tutto vuol dire anche le scelte politiche che saremo portati a compiere nei tempi a venire. Infatti l’assoluta mancanza di una classe intellettuale indipendente dal circo dei partiti, capace di scelte coraggiose, (anche di semplice empatia con la gente che soffre) ci impone una presa di coscienza delle nostre responsabilità che deve spingerci a superare i nostri limiti ed avere più fiducia nelle nostre capacità. C’è qualcosa che accomuna i nostri intellettuali che si incontrano nei musei e nei locali esclusivi per pavoneggiarsi della loro condizione da privilegiati e gli sfrenati organizzatori delle sagre del divertimento paesano delle “cortes apertas”, degli “autunni non so cosa”; ciò che li accomuna è il ruolo da imbonitori, veicoli di una sottocultura del divertimento, del godimento estetico come rimedio, prozac sociale contro il pensiero della ribellione, della rivolta. Se vogliamo stare fuori dal coro dovremo andare oltre l’elaborazione del lutto di classe e partecipare a costruire il futuro.
Documenti in rete da consultare
https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/ecore/2014/analisi_s-r/1420_sardegna
http://crenos.unica.it/crenosterritorio/mod/resource/view.php?id=815
http://www.svimez.info/index.php?lang=en
http://www.bollettinoadapt.it/old/files/document/23222rapporto_2013_si.pdf
http://www.sardegnaprogrammazione.it/documenti/35_400_20140709094102.pdf
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