La discussione che tiene banco in questi giorni, ovviamente, è improntata sui migranti, sul come accoglierli e se accoglierli. Nei bar, per strada, nei mercati e nelle comode case (per chi ce le ha) è un tutto di analisi, incazzature, miserie e ipocrisie, alternate con piccole parentesi su grandiosi pedalatori, eroiche tenniste, grandi motociclisti … nani e ballerine.
La politica intesa come coinvolgimento dell’esistenza di tutti, con le necessitudini quotidiane, con il sogno di una libertà dell’individuo, quella vera, ha ormai lasciato il posto alla diatriba inconcludente dell’essere razzista o non esserlo, imposta dalla logica del potere, nel tirare in ballo tutti, ma lasciando il nulla alla sua assuefacente potenza. Il sistema, inteso come grande manovratore, riesce, infatti, con un meccanismo perfetto, a rendere il razzismo e il non razzismo come due entità che si inseguono e si alimentano a vicenda, lasciando l’entità contesa ad affogare in mare o nella propria merda. Parole come identità usate dal versante razzista si scontrano o incontrano con l’aberrante tolleranza usata dal versante contrapposto, come in un connubio senza senso, triste e miserabile; identità da servo e schiavo in un sistema schiavista e dall’altra tolleranza verso il suo simile (sempre servo o schiavo) come qualcosa da accettare … malgrado tutto. Il razzista che attacca il migrante perche è migrante fa da bilanciere al non razzista che difende il migrante solo perché è migrante, distogliendo il nodo della questione e omettendo la realtà che la logica del capitale, con la sua economia criminale e con i suoi derivati in eccesso, inclusi quelli stipati nei barconi o a brandelli negli scogli, crea inevitabilmente e ciclicamente in tutte le geografie della sua esistenza. Logica che impone la condizione razzista tout court e la impone sia sulle menti spesse volte limitate dall’ignoranza, dall’ignavia e da un impoverimento culturale, utile e strutturale, sia sui soggetti che si reputano non razzisti e illuminati solo per aver l’animo buonista da elemosina o da carità cristiana da pochi spiccioli, addomesticati dal buon vivere sociale, ma lontani dalle ormai inguardabili periferie e non solo, delle nostre città, sempre più “maleodoranti e puzzolenti” di povertà, migrante e nostrana.
Non sarà certo questo antirazzismo modaiolo, edulcorato e sistemico a fermare l’indecenza umana di questi giorni, ma solo lo stravolgimento radicale di questa società i cui pilastri portanti sono la diseguaglianza e l’ingiustizia, e sarà proprio dall’identità razzista della periferia proletaria (e mentale) dell’uomo, non certo dai suoi miserabili manovratori, che dovrà nascere questo rovesciamento dell’esistente; dalla sua potenza, dal sul suo rendersi conto dell’appartenenza agli ultimi, a quel mondo che ha bisogno di razionalizzare il proprio essere suddito, metterlo a fuoco e innescare il connubio col proprio simile, migrante o no, per mettere all’orizzonte il proprio DOVERE di essere libero, rompendo gli steccati dello schiavo sì, ma puro, e della logica borghese della razza e della tolleranza.
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