Rojava calling
Kobane, diario di una resistenza
Racconti di una staffetta di solidarietà
Edizioni Alegre
Dall’inizio della guerra civile siriana, le popolazioni del nord della Siria, a maggioranza curda, si sono auto organizzate proclamando, dandosi una nuova costituzione che prende il nome della regione: il Rojava.
In questa regione si è dato l’avvio ad una nuova esperienza rivoluzionaria a cui tutti guardano con attenzione e nuova speranza:
Il nuovo contratto «La carta del Rojava» che nella sua introduzione dichiara:
CARTA DEL CONTRATTO SOCIALE DEL ROJAVA
Prefazione:
Noi popoli che viviamo nelle Regioni Autonome Democratiche di Afrin, Cizre e Kobane, una confederazione di curdi, arabi, assiri, caldei, turcomanni, armeni e ceceni, liberamente e solennemente proclamiamo e adottiamo questa Carta.
Con l’intento di perseguire libertà, giustizia, dignità e democrazia, nel rispetto del principio di uguaglianza e nella ricerca di un equilibrio ecologico, la Carta proclama un nuovo contratto sociale, basato sulla reciproca comprensione e la pacifica convivenza fra tutti gli strati della società, nel rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, riaffermando il principio di autodeterminazione dei popoli.
Noi, popoli delle Regioni Autonome, ci uniamo attraverso la Carta in uno spirito di riconciliazione, pluralismo e partecipazione democratica, per garantire a tutti di esercitare la propria libertà di espressione. Costruendo una società libera dall’autoritarismo, dal militarismo, dal centralismo e dall’intervento delle autorità religiose nella vita pubblica, la Carta riconosce l’integrità territoriale della Siria con l’auspicio di mantenere la pace al suo interno e a livello internazionale.
Con questa Carta, si proclama un sistema politico e un’amministrazione civile fondata su un contratto sociale che possa riconciliare il ricco mosaico di popoli della Siria attraverso una fase di transizione che consenta di uscire da dittatura, guerra civile e distruzione, verso una nuova società democratica in cui siano protette la convivenza e la giustizia sociale.
Kobane è una delle città della regione, salita agli onori della cronaca per la battaglia che ha visto contrapporsi le milizie di autodifesa popolare YPG/YGJ e i jihadisti dell’ISIS (daesh).
Quello che invece non viene raccontato dagli asserviti media occidentali è che le milizie sono costrette a combattere anche contro la Turchia, a parole alleato della coalizione contro il califfato, di fatto complice dell’Isis, che impedisce alla popolazione civile, in fuga dai daesh, di poter varcare il confine per porsi in salvo, di far passare gli aiuti umanitari e arrivando anche all’infamia di far transitare dalle sue frontiere i mercenari dell’Isis e persino un camion bomba che ha causato morti e feriti, come viene raccontato (pag.75)nel libro.
La resistenza di Kobane non è solo importante per la sua opposizione all’oscurantismo jihadista, ma soprattutto per la difesa della sua nuova proposta rivoluzionaria (il contratto di Rojava) con la quale è riuscita a parlare a tutto il mondo, come già 20 anni fa, riuscì a fare la rivolta zapatista dal Messico.
Da tutto il mondo si sono mobilitate migliaia di persone che, in vario modo, si sono mosse in un rinnovato spirito internazionalista, portando in quel luogo di guerra una solidarietà fattiva.
Anche dall’Italia, da Milano, da Napoli, dalle Marche, da Roma sono partite le carovane di solidarietà che, con varie staffette, hanno portato laggiù aiuti umanitari, cibo, vestiti, medicine, donne e uomini che hanno lavorato nei campi, infermieri e medici che si sono prodigati per dare un’assistenza sanitaria, sapendo che quello che facevano, lo facevano sì per i profughi, ma soprattutto per loro/per noi.
Il libro racconta tutto questo, in una sorta di diario collettivo, scritto a più mani da donne e uomini, dove viene descritta la vita nei campi, i tesi rapporti con le autorità turche, interviste ai protagonisti, combattenti e civili.
Un libro scritto da chi è giunto in quelle terre lontane, non solo per portare un aiuto, ma soprattutto per difendere questa nuova speranza: come accadde in Spagna nel 36 e vent’anni fa in Chiapas.
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