Dal G8 di Genova del 2001 ad oggi, 30 mila fra compagni e compagne hanno avuto condanne e restrizioni repressive da parte dello Stato, per violazioni delle leggi che ne garantiscono l’operato. Numeri che ricordano gli anni settanta, quando un’intera generazione venne inghiottita dalle galere del sistema perché credeva nella giustizia sociale e nella partecipazione attiva ai cambiamenti epocali nati dalla resistenza al nazifascismo e sviluppatisi poi nei decenni successivi.
Il conflitto sociale, con tutte le sue sfaccettature, abbraccia la quotidianità dell’esistenza.
Momenti di rottura reale o meno, ma comunque praticati in un’ottica di cambiamento – dalla lotta per la casa, in difesa dei territori, contro l’Europa dei padroni e delle banche o contro la guerra – stanno diventando stretti per il sistema, perché le contraddizioni che questo conflitto sta mettendo in evidenza rischiano di offuscarne l’immagine, sempre più forzosamente patinata grazie ai tanti servi che manipolano la realtà per renderla accettabile e condivisibile. La stampa, la TV, i politicanti, tutti strutturali al sistema, cercano, infatti, di tamponare le falle, sempre più numerose, di una voragine che per anni ha inghiottito ogni sorta di putridume del potere, con la sua corruzione funzionale, necessaria ad oliare gli ingranaggi della logica capitalista, ben difesa dalle leggi e dalle divise del sistema.
La dottrina legalista imperante del giudizio e di una magistratura onnipresente nella quotidianità, dai salotti televisivi all’editoria fino alla stessa politica di Palazzo, ha trasformato la vita in una sorta di guardie e ladri generalizzato, dove la linea di demarcazione tra illegale e legale è tracciata in un’ottica di forza e di classe e le due componenti vivono la loro esistenza in un’opportunità di sopravvivenza diseguale, in quanto la forza messa in campo da entrambe le parti, a sostegno delle ragioni di ciascuna, è – quantomeno – in netto squilibrio.
Lo Stato impartisce il decalogo comportamentale di come si debba vivere con/per la legge e il popolo asservito a questa logica scalpita per armarsi in suo supporto. Videosorveglianza nelle strade, accettata e spesso auto-imposta; delazione come metodo di sicurezza e l’armarsi, con la divisa o meno, in nome della legge e dello Stato e in nome della giustizia: è lo Stato stesso che permea l’individuo, dilatandone angosce e debolezze, orientando il popolo verso la coesistenza acritica nei confronti della legge, una sorta di simbiosi col sistema. Detestare o combattere la guerra, difendere i territori dall’espansione del profitto, lottare per il pane, per il lavoro o per i diritti basilari della quotidianità, sono tutte espressioni che violano il disegno della coesistenza legalitaria e vengono percepite come inaccettabili perché vanno oltre il limite di demarcazione, in quanto tendenti alla contrapposizione rispetto ai diktat del potere.
La sicurezza e la legalità nell’ottica del sistema sono prerogativa esclusiva per la sua sopravvivenza e per loro natura non possono essere generalizzate, fanno parte della dimensione classista della “democrazia” e non si possono ascrivere a tutti, perché sviluppate sui rapporti di forza e sulla loro necessaria diseguaglianza. Così la stessa Legge può essere antisociale da una parte e dall’altra tutrice di interessi e privilegi, esattamente come sono più sicure le casseforti con i profitti che non gli operai nei cantieri. Sicurezza e legalità, inoltre, sono per lo Stato il binomio necessario per infarcire, con la sua imposizione, forza e dottrina, tutto ciò che abbiamo sotto gli occhi quotidianamente: devastazione ambientale, sfruttamento per il Capitale, guerre di ogni genere, confini e i suoi massacri, muri per gli ultimi, limitazioni delle libertà, carceri sempre più numerose come i centri per le “espulsioni” delle marginalità del mondo, trasformando in nemici ed illegali tutti coloro che a questo si oppongono.
Trasformando la società in rapporti sociali conflittuali fra gli individui, alimentando la guerra tra poveri, storica e sempre funzionale.
Ma, come dicevamo, i conflitti sono in espansione e non tutto potrà essere controllato e manipolato.
La storia è piena di esempi, e molte linee di demarcazione sono state spazzate dal volere dei popoli, anche attraverso la cosiddetta illegalità, e non potranno più essere ricomposte.
Ce ne sono ancora tante, ma tante sono, anche, le volontà di calpestarle.
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