Periodicamente, la compagine governativa e tutto l’arco politico istituzionale non perdono occasione per attaccare le componenti del conflitto sindacale o semplicemente del conflitto operaio che ancora resistono in una prospettiva di classe. Resistono contro il sempre più capillare attacco verso il lavoro, soprattutto del settore pubblico, in un’ottica di privatizzazione liberista, senza nessun controllo e regole, se non quelle del padrone, calcolata e funzionale allo sfaldamento finale di ogni margine di tutela dei lavoratori e al loro sfruttamento tout court. Per ogni blocco, manifestazione o sciopero non concertativo con la linea del potere economico, puntualmente si incendia la canea politica e massmediatica nel contestare l’anomalia democratica in cui un manipolo di sconsiderati crea disagio ad un’intera comunità.
Sia nel comparto della logistica, nei trasporti pubblici o in agricoltura, con i braccianti agricoli convertiti in nuovi schiavi, la consapevolezza conflittuale, anche se in modo territoriale, sta acquistando sempre più importanza e i momenti di rottura con scioperi ad oltranza, blocchi stradali spontanei e occupazioni di fabbriche e cantieri, sono ormai quotidiani. E allo stesso modo quotidiane sono le risposte della controparte con attacchi, anche fisici, nei loro confronti da parte dei padroni e dei loro sgherri, così come sempre più numerosi sono gli attacchi repressivi da parte della magistratura, pronta a sancire, a colpi di sentenze penali, che non c’è più spazio per il dissenso e per il conflitto sociale. I sindacati confederali funzionali alla logica neoliberista cercano in tutti i modi di arginare questa “devianza” e in combutta col potere politico e padronale stanno attuando un isolamento senza precedenti dei lavoratori in lotta.
Si è aperto così un ulteriore fronte di scontro sulla questione della rappresentanza.
Il giuslavorista Ichino, portavoce del Pd – il partito al potere – e della stessa Cgil, pilastro portante delle istituzioni padronali dentro il mondo del lavoro, dopo lo sciopero del 16 giugno scorso di migliaia di lavoratori della logistica dell’Alitalia e dei trasporti pubblici, ha dichiarato che contro la “dittatura di una minoranza” serve un inasprimento delle regole per impedire che un “manipolo senza rappresentanza” blocchi il procedere delle produttività e dei servizi. Contro lo sciopero dei trasporti si è scagliato anche il buonrenzi su facebook (sic!), definendolo uno scandalo, tanto più perché proclamato da una miriade di piccole sigle che paralizzano i nostri venerdì (non a caso Camusso & company scelgono il sabato per evitare eccessivi fastidi a produzione e commercianti…)
Negli anni passati proprio Ichino è stato tra i promotori di un devastante processo di decostruzione dei diritti del lavoro, partorendo una delle peggiori leggi in materia, che negli anni è servita da apripista per tutte le contrattazioni concertative che rendono eludibile ogni regola, contratti firmati dai sindacati asserviti e dai lavoratori indottrinati alla logica del profitto o semplicemente ricattati. Tutto questo in un ottica di frammentazione del mercato del lavoro, parcellizzato come in nessuna parte d’Europa, al fine di creare una miriade di opportunità, ovviamente le più flessibili e precarie possibile, che lo hanno ridotto a un mercato con vastissima scelta di “prodotti” a bassissimo costo, pronti all’acquisto dal migliore offerente.
La flessibilità, divenuta un mantra, la forzatura ideologica necessaria per migliorare la competitività d’impresa secondo la logica liberista, si è rivelata un raffinato capestro per milioni di lavoratori consegnati alla mercé dei loro “datori di lavoro”, alimentando la peggior specie di pulsioni antisindacali fra gli stessi operai e annientando così il loro potere di organizzazione. Per questo lo sciopero è divenuto un’astrazione o meglio un atto politicamente e socialmente irresponsabile, presentato all’opinione pubblica come una devianza che mina la stabilità di una società alle prese con una pesantissima crisi economica – descritta come un inevitabile evento naturale e non come il frutto di una delle logiche del profitto e della finanziarizzazione dell’economia, con i suoi meccanismi di rielaborazione del capitale e della sua ristrutturazione. Non perdono occasione per farci credere che questi atti di irresponsabilità rallentino la fuoriuscita, utilizzando la catena dello sfruttamento del lavoro come grimaldello sociale contro la – loro – crisi.
Ora, noi crediamo che l’atto dello sciopero non metterà in difficoltà la potenza liberista, ma crediamo sia un tassello da incuneare negli ingranaggi del potere, uno strumento necessario per riavviare una coscienza di classe fra i lavoratori, gli sfruttati e fra coloro che auspicano una rottura definitiva con questo sistema. Uno strumento catalizzatore, uno dei tanti, che vada oltre lo sciopero stesso, oltre la mera lotta vertenziale e territoriale, dando impulso politico, coalizzante e rivoluzionario a quella forza dirompente che comunque esiste nelle piazze del salario e dello sfruttamento.
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