Nei giorni scorsi è stato arrestato Aldo Marini, dirigente del S.i. Cobas, accusato di estorsione. La documentazione degli avvocati e del sindacato a difesa del sindacalista evidenzia una montatura giudiziaria per colpire uno dei settori di lotta più attivi e fuori dai giochi corporativi dei sindacati confederali, al servizio della logica padronale.
Dopo l’uccisione di Ahmed Eldanf, investito nei cancelli di una fabbrica di Piacenza da uno stesso operaio incitato dal padrone a forzare il blocco di uno sciopero e dopo i pestaggi ai picchetti con i crumiri affiancati da divise e manganelli o ai veri e propri agguati ai sindacalisti di classe sull’uscio di casa e gli incendi nelle loro sedi da parte degli sgherri dei padroni, la repressione scende in campo, riportando il tempo della lotta operaia agli anni bui della destra fascista. Anni bui dove si proteggevano le scelte padronali ed i crumiri con la polizia e i vari apparati dello Stato, tramite la repressione e la galera, per fermare la forza progressista e rivoluzionaria della piazza di allora; uno Stato, ancora oggi in allerta e bene attento alle dinamiche di lotta e ad una possibile coscienza di classe dei proletari, per questo pericoloso e da non sottovalutare.
Nel tardo pomeriggio di Sabato 28 Gennaio Aldo Milani è stato scarcerato.
Pubblichiamo il comunicato del S.i. Cobas che spiega bene ciò che è accaduto al compagno Marini e come si sta muovendo il sistema, nei confronti di chi ancora lotta con dignità e determinazione.
Col passare delle ore diviene sempre più evidente l’infondatezza del castello accusatorio ordito dalla Questura di Modena contro Aldo Milani e soprattutto l’infame disegno politico che si cela dietro questa vicenda, teso a screditare e “sporcare” tramite un bombardamento mediatico la lotta portata avanti dal SI Cobas a livello nazionale contro lo sfruttamento nei luoghi di lavoro.
Il teorema della Questura, assunto come solenne da tutti gli organi di stampa è: due dirigenti del SI Cobas hanno ricattato un povero imprenditore estorcendo e ricevendo soldi dietro la minaccia di scioperi.
Analizziamo per punto per punto questo teorema, e vedremo che la verità è non solo diversa, ma per certi versi l’opposto di quanto sostenuto dai media.
1) Chi ha ricevuto i soldi? Come evidenziato nel precedente comunicato e come si vede dallo stesso video della Questura, non è stato Aldo Milani (coordinatore nazionale SI Cobas) a ricevere la busta coi soldi, bensì Danilo Piccinini, presentato dalla stampa come SI Cobas ma, lo ripetiamo e lo ribadiremo con forza in tutte le sedi competenti, non solo del tutto estraneo all’organizzazione ma presentatosi al SI Cobas in qualità di consulente del gruppo Levoni con lo scopo di avere un ruolo nella trattativa.
Di quanto affermiamo abbiamo prove certe ed incontrovertibili, che al momento sono al vaglio delle autorità inquirenti e che appena possibile renderemo pubbliche!
A ulteriore conferma di quanto scriviamo vi è lo stesso andamento dell’udienza tuttora in corso per la convalida degli arresti: mentre Aldo Milani ha risposto in maniera chiara e circostanziata a ogni domanda del giudice e del PM, Piccinini si è avvalso della facoltà di non rispondere!!!2) Cosa chiedeva il SI Cobas a quell’incontro? La discussione con Levoni, come anche in questo caso abbiamo ampiamente chiarito nel precedente comunicato, era il frutto di mesi di lotte dei lavoratori sfociate in 52 licenziamenti. Si parlava di soldi? Chiaramente si, come in ogni trattativa sindacale, che per definizione ha ad oggetto richieste e rivendicazioni di natura economica.
E cosa chiedeva Aldo Milani per conto del SI Cobas? Chiedeva, con la forza e la determinazione che caratterizzano il nostro sindacato, nient’altro che il rispetto delle leggi vigenti iateria di CCNL. Nello specifico, dato che i 52 licenziati di Alcar Uno, all’atto di fare richiesta di accesso alla NASPI (assegno di disoccupazione erogato dall’INPS), avevano scoperto che le cooperativa Alcar Uno in appalto per Levoni non aveva versato i contributi INPS utili a maturare l’assegno di disoccupazione, Milani aveva chiesto che Levoni saldase quest’ammanco, ovviamente non certo consegnando del denaro liquido bensì versando le somme contributive mancanti attraverso le modalità previste dalla legge così come risultanti dai modelli F24!3) Una volta chiarita la strumentalità dell’accusa di estorsione e l’estraneità di Milani alla consegna di denaro (quindi gli aspetti di natura strettamente giudiziaria) resta il nocciolo politico della questione, ossia l’accusa di minacciare la controparte con l’arma dello sciopero.
Chi pensi di muoverci questa accusa sappia che come SI Cobas non abbiamo alcun problema a rivendicare appieno questo metodo, che si è articolato in migliaia di lotte e vertenza che hanno consentito a decine di migliaia di lavoratori di passare dalla condizione di schiavi di cooperative e padron i senza scrupoli, a titolari di diritti e soprattutto di un salario non da fame!
Chiunque ci muova una simile accusa, sia che lo faccia in maniera esplicita sia che lo lasci trasparire attraverso allusioni o stucchevoli “prese di distanza”, non solo avvalora il teorema accusatorio, ma si assume, tantopiù se si tratta di organizzazioni sindacali o di “movimento” a legittimare l’unico obbiettivo reale di questa inchiesta: legittimare l’attacco al diritto di sciopero, già attaccato pesantemente dalla miriade di riforme del mercato del lavoro (in ultimo il Jobs Act) e dalle normative antisciopero inasprite dai governi a guida PD e dall’attuale ministro del lavoro Poletti.
Contro quest’attacco risponderemo colpo su colpo non solo nelle aule giudiziarie, ma, come abbiamo sempre fatto, innanzitutto nei luoghi di lavoro e nelle piazze!28/01/2017
SI Cobas Nazionale
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