Avevamo già parlato della resistenza degli indiani sioux al Dapl [Dakota Access Pipeline] l’oleodotto che dovrebbe attraversare la regione del Nord Dakota per 1885 km. incluso il fiume Missouri, e proprio dopo pochi giorni dalla festa americana per l’insediamento di Trump, arrivano notizie di un inasprimento della polizia e delle guardie private nei confronti dei presidi contro il mega progetto.
Nei giorni scorsi, infatti, la polizia non ha esitato ad usare proiettili di gomma e fermi sugli attivisti che non si fidavano delle osservazioni fatte dal U.S Army Corps of Engineers, una parte dell’esercito che si occupa di grandi opere, sul possibile blocco del progetto. Non si fidavano perché convinti che poteva essere una sorta di pausa, finché non fosse iniziata l’era Trump, da sempre favorevole al Dapl. Infatti uno dei primi accordi del nuovo sceriffo americano è stato proprio quello che darà il via ai lavori per costruire l’oleodotto. E così il presidio permanente è stato forzato dalle guardie con fermi e feriti.
“Io osservo gli eventi di Standing Rock con orgoglio e dolore. Orgoglio che le nostre genti e i loro alleati si stanno alzando e mettendo le loro vite in gioco per le generazioni future non perché lo vogliano, ma perché devono farlo …” Con queste parole Leonard Peltier scrive dal carcere, per dare la sua massima adesione e solidarietà agli indiani Sioux in guerra contro il Dapl e per il rispetto della loro “madre terra”.
Leonard Peltier è un nativo americano da 40 anni prigioniero negli Usa condannato a due ergastoli, per omicidio. Leonard sin da giovane conosce l’arroganza e la supremazia dei bianchi e il loro razzismo nei confronti della sua comunità e per questo aderisce all’Aim – American Indian Movement – un’organizzazione creata dagli indiani per difendersi dal sopruso, decidendo di farlo a testa alta. Nel 1973 gli uomini del governo, dell’allora presidente Nixon, decidono di occupare i territori dei Lakota e usano il terrore tramite una polizia privata, con saccheggi ed omicidi. Gli indiani, tra cui Leonard, dell’Aim, decidono di resistere, ma il governo tira dritto, consapevole dei giacimenti, soprattutto di uranio, presenti in quella regione, della loro importanza e della sua forza per farlo. Oltre la polizia privata, il governo utilizza in massa gli uomini dell’Fbi e proprio in questi mesi di occupazione, massacrano 60 nativi, uccidendoli barbaramente. Nel 1975 gli indiani della comunità di Oglala, quelli che da sempre sono vissuti in quella regione, chiedono aiuto all’Aim ed organizzano un raduno per protestare contro questa occupazione ed aderiscono una ventina di membri dell’organizzazione, fra cui Leonard Peltier, che nel frattempo è divenuto un dei leader del movimento. Durante il presidio, gli agenti dell’Fbi e le guardie private, per l’ennesima volta, sparano sulla folla ma questa volta gli indiani decidono di difendersi: tre persone rimangono uccise e decine sono i feriti. Fra i morti ci sono due agenti dell’Fbi ed un indiano. Per l’indiano ucciso non furono fatte indagini ma per i due dell’Fbi si scatenò la rappresaglia. Da subito furono arrestati due nativi ma durante il processo fu riconosciuta loro la legittima difesa, mentre per un terzo, Leonard Peltier, iniziò il calvario. Scappato in Canada, dopo una lunga caccia all’uomo da parte di centinaia di uomini del governo, venne arrestato nel ’76 ed estradato negli Usa, non ascoltando le proteste del governo canadese, che riconobbero la falsa testimonianza dei testimoni utili all’Fbi per incastrare Leonard. Durante il processo furono evidenti le falle dell’accusa e la giuria costituita da soli uomini bianchi e da un giudice notoriamente razzista, condannano l’indiano a due ergastoli. Dopo cinque anni, un esame balistico più accurato sulle armi di Leonard, confermarono che quelle armi non avevano ucciso i due uomini governativi, e alcuni testimoni che lo avevano accusato ritirarono l’accusa confermando che furono minacciati dall’Fbi per testimoniare contro Leonard Peltier, ma per il nativo non cambiò nulla, non fu accettata la revisione del processo e gli ergastoli furono confermati. Dopo 40 anni di prigionia, ancora oggi Leonard Peltier è in carcere negli Stati Uniti.
Prima di lasciare le poltrone del potere americano, il democratico Obama, colui che per i poveri illusi doveva rappresentare il riscatto nero, non ha firmato per la sua liberazione e per l’indiano la cella resterà chiusa.
La storia di Leonard Peltier è una storia di sopruso, di razzismo e di occupazione capitalista, ma altresì una storia di dignità e di resistenza che ancora oggi trova esempio fra i nativi americani e non solo.
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