41 bis = tortura

 paginecontro

Da molti mesi i prigionieri in regime 41bis non possono più ricevere libri o riviste tramite i colloqui con i familiari o con l’avvocato e possono solo farne richiesta per l’acquisto all’amministrazione penitenziaria, che decide quale lettura far passare e quale invece censurare. Insomma un ennesimo oltraggio verso chi subisce le maglie della prigione che ricorda i tristi roghi purificatori dove le fiamme servivano a bruciare, certo, parole scritte, ma non a fermare l’idea di libertà e di speranza tracciate sull’inchiostro.

Come collettivo redazionale del sito moras.noblogs.org partecipiamo alla campagna “Pagine contro la tortura” (https://paginecontrolatortura.noblogs.org/) invitando tutti coloro siano convinti che la galera non è la soluzione in una società di ingiustizie e sfruttamento ma è parte del problema, a fare qualsiasi pressione o iniziativa affinché i libri abbiano sempre una priorità per chi sogna e auspica la libertà.

Sabato 16 aprile in numerose città sarde e italiane si terranno presidi in contemporanea davanti alle carceri.

Per inquadrare meglio la campagna e le sue principali motivazioni, di seguito riportiamo stralci dell’Appello per la campagna “PAGINE CONTRO LA TORTURA” Circa il divieto di ricevere dall’esterno libri e stampe d’ogni genere nelle sezioni 41bis, aperta la scorsa estate:

“Nel tempo le istituzioni hanno allevato funzionari che ritengono naturale questo sistema di barbarie. Quando si eleva il meccanismo della mostrificazione a ’normale’ strumento di repressione, la tortura di varia natura diventa burocrazia quotidiana”.(Da una lettera di un detenuto rinchiuso nel nuovo carcere di Massama, Oristano, giugno 2015).

Da alcuni mesi chi è sottoposto al regime previsto dall’art. 41bis dell’ordinamento penitenziario (o.p.) non può più ricevere libri, né qualsiasi altra forma di stampa, attraverso la corrispondenza e i colloqui sia con parenti sia con avvocati: i libri e la stampa in genere si possono solo acquistare tramite autorizzazione dell’amministrazione. È un’ulteriore censura, una potenziale forma di ricatto, in aggiunta alle restrizioni sul numero di libri che è consentito tenere in cella: solo tre.

Nel novembre 2011 una circolare del DAP (Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria: il dipartimento del ministero della Giustizia preposto al governo delle carceri italiane) impose questa restrizione, ma fu bloccata da reclami di alcuni prigionieri e prigioniere accolti nelle ordinanze di alcuni giudici di sorveglianza. I ricorsi opposti da almeno tre pubblici ministeri contro queste ordinanze furono confermati in Cassazione. Infine una sentenza della suprema Corte del 16 ottobre 2014 ha dato ragione al DAP, rendendo così definitiva questa nuova odiosa restrizione.

Il regime di 41bis è il punto più rigido della scala del trattamento differenziato che regola il sistema carcerario italiano.

Adottato trent’anni fa come provvedimento temporaneo, di carattere emergenziale, si è via via stabilizzato e inasprito. In questa condizione detentiva ci sono oggi ben oltre 700 prigionieri  e prigioniere, fra i quali una compagna e due compagni rivoluzionari, trasferiti in queste sezioni da dieci anni. Il 41bis è attualmente in vigore in 13 sezioni all’interno di carceri sparse in tutt’Italia: Cuneo, Novara, Parma, Opera-Milano, Tolmezzo-Udine, Ascoli Piceno, Viterbo, Secondigliano-Napoli, Terni, Spoleto, L’Aquila, Rebibbia-Roma, Bancali-Sassari (entrata in funzione all’inizio di luglio 2015).

Il 41bis prevede:

– isolamento per 23 ore al giorno (soltanto nell’ora d’aria è possibile incontrare altri/e prigionieri/e, comunque al massimo tre, e solo con questi è possibile parlare);

– colloquio con i soli familiari diretti (un’ora al mese) che impedisce per mezzo di vetri, telecamere e citofoni ogni contatto diretto;

– esclusione a priori dall’accesso ai “benefici”;

– utilizzo dei Gruppi Operativi Mobili (GOM), il gruppo speciale della polizia penitenziaria, tristemente conosciuto per i pestaggi nelle carceri e per i massacri compiuti a Genova nel 2001;

– “processo in videoconferenza”: l’imputato/a detenuto/a segue il processo da solo/a in una cella attrezzata del carcere, tramite un collegamento video gestito a discrezione da giudici, pm, forze dell’ordine, quindi privato/a della possibilità di essere in aula;

– la censura-restringimento nella consegna di posta, stampe, libri.

Questa tortura quotidiana è finalizzata a strappare una “collaborazione”, cioè a costringere, chi la subisce, alla delazione. Nessun fine, quindi, legato alla sicurezza quanto piuttosto all’annientamento dell’identità e personalità. Ciò è ancora una volta dimostrato attraverso l’applicazione di quest’ultima ennesima restrizione, visto che leggere e scrivere rappresenta  da sempre l’unica forma di resistenza alla deprivazione sensoriale a cui sono quotidianamente sottoposti tutti e tutte le detenute.

Le leggi e le norme di natura emergenziale, col passare del tempo, si estendono cosicché ogni restrizione adottata nelle sezioni a 41bis prima o poi, con nomi e forme diverse, penetra nelle sezioni dell’Alta Sicurezza e in quelle “comuni”, contro chi osa alzare la testa.

Lo dimostra la generalizzazione di norme “trattamentali” eccezionali, quali per esempio: l’uso massiccio dell’isolamento punitivo disposto dall’art. 14-bis o.p., che può essere prorogato anche per parecchi mesi consecutivi, in “celle lisce” e spesso isolate all’interno dell’istituto; o la “collaborazione” (di fatto) quale condizione essenziale per poter accedere a un minimo di possibilità “trattamentali” (socialità, scuola, lavoro); oppure la censura (di fatto) della corrispondenza e la limitazione del numero di libri o vestiti che è possibile tenere in cella.

Una società che sottostà al ricatto della perenne emergenza, alimentata da banalizzazioni ed allarmismi, si rende consenziente alle vessazioni e torture di cui il blocco dei libri è solo l’ultimo, più recente tassello. Individuiamo nel Dap il diretto responsabile e l’obbiettivo verso cui indirizzare le proteste: 

D.A.P. – Largo Luigi Daga n. 2 – 00164 Roma; centralino: 06 665911; Ufficio detenuti alta sicurezza

mail:  dg.detenutietrattamento.dap@giustizia.it  –  telefono: 06 665911 –  fax: 0666156475. 

Tartassiamoli di telefonate, e-mail, cartoline…e chi più ne ha, più ne metta! Chiediamogli conto di quanto hanno messo in pratica!

È altresì importante promuovere una campagna di sensibilizzazione e iniziativa di tutte e tutti coloro che operano nel mondo della cultura: librerie, case editrici, di appassionati/e della lettura, scrittori e scrittrici, viaggiatori tra le pagine, ecc., volta al ritiro del vessatorio divieto di ricevere libri.

In particolare, al fine di fare pressione sulle autorità competenti ed estendere la solidarietà, invitiamo tutte le realtà a spedire cataloghi, libri, riviste, ecc, presso le biblioteche delle carceri in cui sono presenti le sezioni a 41bis (per gli indirizzi delle carceri clicca qui)  e ai detenuti e alle detenute che di volta in volta ne faranno richiesta.

Informazioni utili allo sviluppo della campagna si trovano in rete a questo indirizzo:

http:/paginecontrolatortura.noblogs.org/. Il blog servirà da strumento di aggiornamento, coordinamento e documentazione. Chiunque aderirà alla campagna, per esempio con la spedizione di libri, ma anche con iniziative autonome, sarà bene che lo comunichi al seguente indirizzo di posta elettronica, cosicché sarà più semplice avere il polso della situazione su ciò che si sta, o meno, muovendo: paginecontrolatortura@inventati.org

Quest’appello vuole essere diretto e ampio, tanto quanto reclama la libertà, la lotta per viverla, nemica di ogni forma di prevaricazione e sfruttamento.

Il carcere non è la soluzione, ma parte del problema.

Sommergiamo di libri le carceri, evitiamo che si metta in catene la cultura!

 

Facciamo chiudere questo post ai compagni dell’Assemblea di lotta “Uniti conto la repressione” di ottobre 2015, il cui contributo, del tutto condivisibile, è per noi da rilanciare nel dibattito: 

… La limitazione dei libri fa parte di un inasprimento generale sia delle normative carcerarie sia di un complessivo irrigidimento della strategia repressiva sul piano nazionale e su quello internazionale, strettamente legati tra loro. In particolare, l’accelerazione continua, negli ultimi anni, allo sviluppo della guerra imperialista, come estremo tentativo di uscita dalla crisi da parte degli stati borghesi, irrigidisce anche i rapporti politico-sociali interni, rafforzando ancora di più quella tendenza al “diritto di guerra” che già si era configurata dall’11 settembre 2001 in poi, con la cosiddetta “emergenza terrorismo”. Una sorta di guerra interna con sempre nuove misure repressive, figlia anche di indicazioni europee (dall’ultimo decreto Alfano fino al Jobs Act), funzionale a reprimere con più forza ogni opposizione nei posti di lavoro, nei territori, nelle carceri. Una guerra oggi condotta ancora con la propaganda asfissiante del pericolo del “terrorismo” islamista e della difesa della “civiltà democratica”.

In questo clima, la risposta alla lotte è la militarizzazione e il carcere. Chi lotta per difendere un picchetto davanti a una fabbrica, un’occupazione di una casa, o decida di non smobilitare dal suo territorio per impedire l’ennesima costruzione delle “grandi opere” utili solo ai padroni, è costretto a vedersela con cariche della polizia, fermi, arresti, fogli di via, perquisizioni, intercettazioni, processi e condanne.

La repressione agisce sia in modo selettivo, differenziante, mirato, sia, contemporaneamente, allargando le maglie della propria rete. Le accuse diventano sempre più pesanti e si usa il reato di devastazione e saccheggio nei casi di manifestazioni di massa che si esprimono su un terreno di scontro, come è successo quest’anno per la manifestazione antifascista di Cremona o del Primo Maggio contro l’Expo. Oppure si cerca di affibbiare i reati di terrorismo come successo per la lotta No Tav.

L’isolamento carcerario e la differenziazione sono espressione di questa guerra condotta sul fronte interno, utilizzati, in generale, per governare galere che la crisi del sistema capitalista rende sempre più infernali e ingovernabili e, in particolare, come tradizionale arma degli stati borghesi contro i prigionieri politici e rivoluzionari.

Non potevano mancare in questo quadro gli inasprimenti per chi è sottoposto al 41bis, che è al culmine del sistema di differenziazione carceraria.

In Italia, ogni giorno lo stato incarcera decine e decine di proletari e sottoproletari, sfruttati ed emarginati per reati contro il patrimonio, microcriminalità e droga. Nei Centri di Identificazione ed Espulsione vengono reclusi gli immigrati privi di documenti e perciò dichiarati “clandestini”.

All’interno delle galere, oltre alle quotidiane vessazione e pestaggi da parte delle guardie, vige un sistema di controllo basato da un lato sul regime dell’isolamento punitivo – previsto dall’art. 14bis. o.p. -e dall’altro sulla premialità di condizioni, per disarticolare, piegare e corrompere preventivamente ciò che si sviluppa in termini di resistenza da parte del proletariato prigioniero.

I prigionieri rivoluzionari vengono isolati in apposite sezioni, in regime di Alta Sorveglianza, nelle quali finiscono rinchiusi anche i compagni e le compagne incarcerati per la loro partecipazione alle lotte, come è successo ai militanti sotto processo per il sabotaggio di un compressore al cantiere di Chiomonte. È contro questo regime di isolamento che si sono ribellati nel febbraio di quest’anno i compagni anarchici rinchiusi nel carcere di Ferrara.

Sopra il regime di Alta Sorveglianza, al vertice della piramide carceraria, troviamo il 41bis. Strumento inizialmente istituito contro gli esponenti di quelle frazioni della borghesia mafiosa uscite sconfitte dalle varie guerre di mafia, ‘ndrangheta e camorra, e divenuto poi il regime detentivo con il quale lo stato tenta di reprimere quelle aree di illegalità diffusa radicatesi, a fronte di condizioni sociali sempre più dure, in parte del proletariato e sottoproletariato del meridione. Colpire queste aree sociali con l’art. 416bis del Codice Penale (associazione mafiosa) significa condannare centinaia di proletari al 41bis.

Che il 41bis non sia un regime in cui vengono detenuti solo i condannati per i cosiddetti reati di mafia è dimostrato da ormai dieci anni: è dal 2005, infatti, che tre rivoluzionari prigionieri, arrestati per l’inchiesta Biagi e D’Antona, sono continuativamente sottoposti a tale regime di isolamento. Riteniamo doveroso ricordare anche la compagna Diana Blefari Melazzi, arrestata nell’ambito delle medesime inchieste, morta di carcere nel 2009 a seguito di una prolungata detenzione in 41bis.

L’applicazione del 41bis contro i compagni conferma quanto sia duttile e flessibile questo strumento nelle mani dello stato, che assume chiaramente una valenza strategica nell’ambito della controrivoluzione preventiva.

Progressivamente, circolari dell’amministrazione penitenziaria e sentenze della magistratura, da ultimo quella della Cassazione del 16/10/2014, hanno disposto ulteriori restrizioni in tema di censura contro chi è detenuto in tale regime.

Con l’intensificazione della repressione vorrebbero non solo reprimere le lotte attuali, ma anche distruggere la storia e la memoria della lotta di classe e di quella contro il carcere.

La lotta contro la tortura dell’isolamento vive a livello internazionale e la sua storia è lunga ed eroica: molti compagni vi hanno dato la vita: dalla Spagna alla Germania, dalla Turchia all’Irlanda.

L’uso del carcere e dell’isolamento è una pratica storica dell’imperialismo, ma storica è anche la capacità di lotta e resistenza condotta da chi vi è rinchiuso! Lo dimostrano tuttora le carceri del “democratico” occidente, in cui sono rinchiusi rivoluzionari prigionieri come Georges Ibrahim Abdallah, militante comunista libanese che ha sempre rivendicato la sua internità alla causa del popolo palestinese, o Marco Camenisch, rispettivamente rinchiusi nella galere francesi (dal 1984 nel caso di Georges) e svizzere (arrestato in Italia nel 1991 ed estradato in Svizzera nel 2002) . La forte mobilitazione di solidarietà nei loro confronti deve essere per noi un esempio da seguire, poiché essa ha trovato forza quando si è unita ai movimenti che oggi lottano in appoggio alla Resistenza Palestinese o contro la devastazione del territorio.

Anche in Italia è importante riprendere e far conoscere dentro alle iniziative che rientreranno nella campagna “pagine contro la tortura” la storia e le radici di questa lotta e il suo legame a livello internazionale. Negli anni 70, la lotta contro l’art.90 o.p., predecessore del 41bis, è stata forte e vigorosa sia all’interno sia all’esterno delle carceri.

Più recentemente la mobilitazione del 2005 a Biella, contro un analogo provvedimento per la limitazione dei libri attuato dall’allora ministro della giustizia Roberto Castelli, portò al suo ritiro.

E, negli ultimi anni, la lotta si è sviluppata nuovamente nel 2011 passando con un corteo a L’Aquila e, nel 2013, a Parma. In seguito a queste mobilitazioni anche all’interno delle carceri c’è stata una grossa mobilitazione e alcuni prigionieri hanno subito punizioni e ritorsioni: un compagno è attualmente sotto processo.

Riprendiamo con forza la mobilitazione!

Organizziamo, promuoviamo e rilanciamo la solidarietà ai prigionieri che lottano e resistono attraverso iniziative di dibattito e di protesta, portiamo la discussione all’interno delle situazioni di lotta attuali.

No alla censura dei libri!

Contro carcere, 41bis e differenziazione, al fianco di tutti i prigionieri che lottano!

La solidarietà è un’arma, usiamola!

 

Assemblea di lotta “Uniti contro la repressione”    

Per sviluppare iniziative sulla campagna sono disponibili nel blog i seguenti materiali:

  1. l’opuscolo “41bis, sistemi detentivi, carcere duro e isolamento carcerario” a cura dei compagni di Napoli;
  2. il video: “Non c‘è lotta al capitalismo senza lotta contro il carcere Non c’è lotta contro il carcere senza lotta al 41 bis” prodotto dall’Assemblea di lotta “Uniti contro la repressione”;
  3. il volantone: “Non c’è lotta al capitalismo senza lotta contro i carcere non c’è lotta contro il carcere senza lotta contro il 41bis” prodotto dall’Assemblea di lotta “Uniti contro la repressone”;
  4. può anche essere richiesto all’Assemblea l’opuscolo “Il morso del serpente” sulla mobilitazione nelle carceri e contro il carcere del 2013 che si è sviluppata sull’onda della mobilitazione fuori dalle carceri contro l’articolo 41bis.

 

http://uniticontrolarepressione.noblogs.org