Il duro scontro tra il coraggioso e indomito popolo greco e l’avatar della borghesia capitalista europea, la troika, che anche nel nome fa vibrare echi lontani di mostri con più teste di cui la mitologia ellenica ha così bene raccontato, questo scontro senza armi, dall’esito incerto, è ancora in corso ed è prematuro trarre lezioni definitive, ma alcune considerazioni possiamo già osarle.
La prima sgombera il campo dalla mitologia, appunto, e dalle illusioni: nessun Ercole, nessun movimento internazionale anti-capitalista verrà in aiuto al popolo greco in questo momento, né i volontari delle brigate internazionali come accadde in Spagna contro il fascismo, né i figli perbene della rivoluzione d’ottobre, che siano gli orfani sterilizzati, i figli prodighi dell’ideologia dominante, o che pensino a un nuovo zarismo come alternativa al declino occidentale.
Nemmeno noi, anima variegata dell’Europa anticapitalista, che pure lo vogliamo intensamente, saremo di alcuna utilità alla lotta dei greci, perché oggi non siamo capaci di aprire altri fronti di scontro che coinvolgano il proletariato internazionale nella lotta eterna tra sfruttati e sfruttatori.
Questa è forse la prima lezione che possiamo trarre sulla difficoltà a fare la rivoluzione in un solo paese in un mondo interconnesso e interdipendente dominato dal pensiero unico dell’ideologia
del capitale: quando si rompe la catena della solidarietà di classe, intesa come condizione globale del proletariato multinazionale, lo sciovinismo, l’egoismo nazionalistico hanno il sopravvento sui sentimenti più nobili di fratellanza e solidarietà e anche sulla semplice empatia.
Che questa considerazione sia, purtroppo, vera, lo dimostra il fatto che le opinioni pubbliche europee – Portogallo e Polonia in testa – che sono state sottoposte a politiche di austerità al limite del sopportabile, pensano che la Grecia debba rimborsare i prestiti senza condizioni, senza sconti, come é stato già loro imposto .
Non solo le banche (tedesche, francesi, italiane) quindi, ma le nazioni, i popoli, gli uni contro gli altri, a difendere l’accumulazione, il reddito, con la speranza di un futuro posto al sole tra le macerie degli stati sociali che dappertutto in Europa vengono smantellati.
Chi è disposto oggi a ragionare, a Berlino o a Parigi, sul fatto che da quando la troika ha commissionato l’economia greca il debito pubblico di Atene sia salito dal 100 a 160 per cento, o sul fatto che le banche europee prestino alla Grecia al tasso dell’8/10 per cento denaro che loro stesse prestano alla BCE all’1,5 per cento?
Pochi, proletari compresi, tutti presi come sono a difendere il privilegio di vivere in nazioni con tradizioni capitalistiche più salde e classi politiche meno inette di quella greca. (nota )
Le terribili mediazioni, gli arretramenti a cui è costretta giorno dopo giorno la coalizione di Syriza nello scontro con gli interessi capitalisti, dicono molto anche sui limiti dei percorsi istituzionali della politica antagonista.
Limiti politici oggettivi, inerenti le strutture del capitalismo sovranazionale che non può e non vuole permettere che anche un solo paese rompa l’ordine del profitto.
Limiti che si impongono alla volontà dei greci e alla coalizione Syriza, che pure con forza cerca di resistere alla pressione delle sanzioni minacciate, dove quella di un’uscita dall’Euro non è nemmeno
la più grave poiché Inghilterra, Polonia, Lettonia, Lituania e Romania – che sono fuori dalla zona Euro – sono le sole nazioni che crescono economicamente, a dispetto della crisi, o forse proprio a causa di essa, giacché tirano profitto dal tasso di scambio che favorisce le loro esportazioni.
E allora perché Syriza si ostina a stare nella zona Euro?
Vediamo bene che contemporaneamente attua alcuni punti del programma elettorale, come il blocco delle privatizzazioni, riassunzioni nella funzione pubblica e nella sanità, aumenti salariali e pensionistici, ma appunto, l’attuazione del programma richiede quantità di denaro che lo stato greco non ha a disposizione, ed è forse per questo che da più parti si parla di un nuovo piano Marshall senza contropartita finanziato dai fondi europei. Per farlo basterebbe applicare la tassa TOBIN sulle transazioni finanziarie all’altezza del 2%, colpendo la speculazione internazionale e ristabilendo un minimo di giustizia fiscale, ma questa proposizione, almeno per ora Syriza non sembra volerla portare avanti in Europa, anche se bisogna dire a loro discolpa che sono abbastanza isolati al tavolo delle contrattazioni.
Pare invece che il ministero delle Finanze si appresti ad assumere migliaia di persone a tempo determinato, semplici cittadini che devono andare in giro per filmare e denunciare gli evasori fiscali alla pubblica amministrazione (l’evasione fiscale è in Grecia, come in Italia, lo sport nazionale per commercianti e liberi professionisti). Ora ci chiediamo se, per quanto giusta la lotta alla frode fiscale possa giustificare una levata di scudi basata sulla delazione di massa che prelude non ad uno stato sociale di superamento del capitale ma ad uno stato disciplinare, incentrato sulla repressione piuttosto che sulla pedagogia sociale. Che dire poi della reazione tutta militare alla giusta contestazione di piazza contro i compromessi che Syriza sta accettando nella contrattazione col potere centrale dell’UE; perché schierare i “robocop” contro i manifestanti, perché ancora i manganelli? Non sarebbe stato più giusto dire:”Compagni avete ragione, abbiamo dei limiti, ma siamo pronti al dialogo con le forze sociali che hanno lottato per il cambiamento e non ci comporteremo mai come quelli che abbiamo appena mandato via”!
Se il buon giorno si vede dal mattino…
Ma è possibile cambiare la politica economica dell’Europa senza cambiarne l’orientamento politico generale in direzione contraria a quella capitalista?
La lezione greca ci insegna che ora dobbiamo pensare l’Europa come territorio in cui portare, moltiplicare la ribellione degli oppressi, generalizzarla alle altre nazioni, come già sembra stia facendo Podemos in Spagna.
Queste indicazioni verso una continentalizzazione dello scontro di classe vengono anche dal dibattito allo «strike meeting» di febbraio a Roma e più in generale da tutti quei soggetti antagonisti europei che pensano ad una nuova internazionale antagonista al capitale, proprio partendo dai concetti come quelle dei beni comuni da tutelare, dei territori da difendere e liberare.
La lezione greca ci dice che i sogni di libertà e uguaglianza vanno perseguiti secondo i propri mezzi e le proprie possibilità, ma che per vincere bisogna organizzarsi come soggetto collettivo multinazionale, pena la sconfitta.
(nota)
L’opinione pubblica tedesca sembra ignorare che nel XX secolo la Germania é stata per ben due volte in fallimento. Una prima volta durante la repubblica di Weimar, che negli anni venti prende in prestito somme consistenti dagli USA per pagare i danni di guerra (la prima che la Germania perse) decisi nel trattato di Versailles, e che in seguito alla crisi e al fallimento di molte banche americane la mette in condizioni di non onorare i debiti ed essere quindi in cessazione di pagamento.
Una seconda volta negli anni cinquanta quando, incapace di pagare i nuovi danni di guerra (quelli della seconda guerra mondiale questa volta) la Germania è praticamente sul lastrico e si salva solo perché gli USA (ancora loro) le fanno uno sconto sui danni di guerra (compresi quelli che avrebbero dovuto pagare ai greci) e poi con il piano Marshall, rilanciano la macchina industriale tedesca che era vitale, all’epoca, per gli equilibri dell’area centro-europea in funzione antisovietica.
MRAS
Marzo 2015
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