«Un po’ per amore, un po’ per rabbia» Intervista a Pino Cacucci
1. Nei tuoi libri racconti le storie dei dimenticati dalla “storia”. Penso a personaggi come Jules Bonnot o ai protagonisti di Oltretorrente. Ma non solo, penso ai ritratti raccontati nei libri come Camminando, Ribelli. Ci dici il perché di questa scelta di raccontarli? Cosa ti accomuna a loro?
1 – Ho sempre nutrito un’insopprimibile curiosità per i retroscena degli eventi storici che troppo spesso sono stati travisati, occultati, taciuti per inconfessabili interessi, e soprattutto per le persone che, ribellandosi, sono state trattate da reietti, eretici, addirittura “banditi” nel vero senso del termine, cioè esclusi dalla memoria. Quindi mi viene spontaneo e direi istintivo, cercare di ridare loro voce e ricostruirne le vicende, scoprendo che in molti casi erano donne e uomini dotati di un eccesso di sensibilità che li ha portati a preferire una fine spaventosa allo spavento senza fine di chi si adegua e china la testa. Le loro storie le faccio mie, e racconto come ad accomunarli sia la strenua difesa della dignità.
2. In molti tuoi libri, protagoniste sono delle donne. Chi e cosa ti ha colpito maggiormente nelle loro storie. (Siamo particolarmente interessati alla figura di Frida Kahlo).
2 – Ho iniziato tanto tempo fa (erano i primi anni ottanta) a seguire le tracce del magnifico fantasma di Tina Modotti, di cui conservavo in un angolo della memoria quel poco che avevo trovato in Italia su di lei, non potendomi rassegnare al fatto che fosse stata dimenticata; poi, in Messico, senza che fossi andato là per questo, scoprii che Tina lì era “viva”, in molti conoscevano la sua esistenza, in vari musei si conservano sue foto originali, e gli intellettuali ancora litigavano su certi aspetti della sua vita politica e sociale. Allora non pensavo di scriverci un libro (che poi ne avrei scritti tre…) ma ho cominciato a cercare di ricostruirne la biografia affrontando i mille risvolti e l’infinità di versioni sui misteri che costellano la sua appassionata e travagliata esistenza (in particolare l’omicidio del suo compagno del 1929, il cubano Julio Antonio Mella). Poi… devo averci preso gusto, perché intorno a lei prendevano corpo figure di altre donne straordinariamente interessanti, Nahui Olin, Antonieta Rivas Mercado… e Frida Kahlo, ovviamente, che fu per un periodo amica intima di Tina. Con il tempo, quasi tutte loro hanno ispirato un mio libro o almeno un capitolo. Di fatto, gli anni Venti a Città del Messico furono un periodo unico nel 900, di creatività culturale e artistica, e le donne ne furono protagoniste assolute. Tra loro, Frida era la più giovane, e con il tempo, è diventata l’astro più luminoso, ormai celebre in tutto il mondo. Esistono su di lei ottime biografie, quindi non volevo aggiungermi alla serie, però… la voglia di scriverne c’era da sempre, finché ho deciso di darle voce in un monologo teatrale, immaginando lei che si racconta e ricorda nell’ultima ora della sua vita. Renzo Sicco, fondatore e regista di Assemblea Teatro di Torino, si innamorò di quel testo a “prima lettura”, così lo ha messo in scena affidandolo alla bravissima Annapaola Bardeloni, italouruguayana che recita sia in italiano che in spagnolo, e attualmente lo hanno rappresentato più volte in Italia, ma molto di più in paesi latinoamericani.
3. Ci racconti delle incursioni nel fumetto? Come è il rapporto con gli illustratori? Quale è il metodo di lavoro? Le differenze fra la scrittura di un romanzo e una sceneggiatura di un fumetto?
3 – Le mie incursioni nel fumetto le devo a Luigi Bernardi, amico entrañable che ci ha lasciati poco tempo fa, editore di Granata Press che nei primi anni novanta mi “accoppiò” con il disegnatore Otto Gabos: nacque così “Tobacco”, e poi, a distanza di tanti anni, con l’amico Otto Gabos ci siamo rimessi insieme per creare “La giustizia siamo noi”. Bernardi fece la prima presentazione, ed esordì così: “Voi due siete matti. Questa è una storia talmente forte che non ne parlerà nessuno”. Aveva come sempre ragione, lui che come noi è sempre stato “dalla parte del torto”. E se devo raccontarla tutta… Luigi Bernardi è stato il primo a esortarmi a scrivere: nei primi anni ottanta disegnavo fumetti, andai da lui (che allora aveva l’editrice “L’Isola trovata” a Bologna) a farglieli vedere, e dopo un’attenta e scrupolosa osservazione dei disegni e dei testi, disse soltanto: “Ma perché non ti metti a scriverla, questa storia?”. Era il suo modo di dirmi che come fumettista non ero granché, ma la storia da raccontare c’era. E sarebbe diventata il romanzo “Punti di fuga”.
4. All’attività di scrittore affianchi quella di traduttore. Come riesci a rendere, in italiano, un libro di una/o scrittrice/ore di lingua spagnola? Quali sono le differenze fra un autore/autrice europeo/a e uno/a del Sud America?
4 – Tradurre è una forte passione, ormai è diventato il mio mestiere principale, visto che ho superato i novanta titoli di narrativa e gli dedico molto più tempo che a scrivere i miei libri. Traducendo, si penetra nell’intimo di un testo e si instaura un rapporto profondo con chi lo ha scritto, che poi diventa sempre anche rapporto personale, perché se l’autore o autrice non li conosco già, avvio subito una relazione via mail che quasi sempre si è tramutata in amicizia e contatto costante anche al di là del lavoro di traduzione. Rendere un testo dallo spagnolo in italiano, be’… credo di essere agevolato dal mestiere di narrare, perché è molto più importante la capacità di scrivere nella propria lingua che non la conoscenza capillare della lingua originale: è così che si tenta di trasmettere non solo il senso, ma le sensazioni che il testo evoca. In quanto alle differenze… a parte le ambientazioni e il tipo di personaggi, a volte nei latinoamericani avverto una maggiore passione a fior di pelle che all’europeo è meno congeniale, ma sarebbe assurdo generalizzare in tal senso.
- Una volta, mi pare di aver letto da qualche parte, che tu ti definisci, più che uno scrittore, un narratore, un artigiano della parola? Ci dici cosa intendevi e quale è il tuo rapporto con la scrittura?
5 – La mia scrittura è finalizzata alla storia che intendo narrare, quindi è artigianato, perché aspirare all’arte è forse tutt’altro: non mi interessa minimamente essere originale nella forma, è il contenuto la cosa più importante per me. E per il genere di storie che racconto, affermo e rivendico di voler essere “sentimentale” (nel senso che vorrei trasmettere i sentimenti dei personaggi) e pure “romantico”, e addirittura “epico”, se possibile. Tutte cose che, forse, a chi si mette in testa di diventare la nuova rivelazione della letteratura moderna, non interessano, anzi. Lo “stile” per me non ha importanza, è un mezzo, mai un fine.
6. Messico, un amore di una vita, Come è nato? E oggi cosa è diventato?
6 – Il Messico, malgrado tutto, continua a darmi emozioni che non provo altrove. Le sue genti, più che le terre. È un paese che emana passioni estreme, nel bene e nel male. L’innamoramento è nato in un primo viaggio nel 1982, e non si è più sopito. Torno ogni anno in Messico, e ogni volta vivo esperienze che mi arricchiscono. Anche se, lo ammetto, gli orrori della cronaca incrinano spesso la mia capacità di godere il meglio che mi offrono le persone, i tanti amici che ho là. Se ci torno ancora, è perché sento che quell’anima generosa e intrisa di un inesauribile senso della dignità, non sono ancora riusciti a soffocarla, nonostante gli orrori pressoché quotidiani. Perché non dobbiamo mai dimenticare che esiste l’altro Messico, quello che continua a lottare e a opporsi all’orrore con ogni mezzo possibile.
7. Non posso esimermi dal chiederti della strage e dei desaparecidos di Ayotzinapa. Cosa ti raccontano i tuoi amici, i tuoi contatti messicani?
7 – Il massacro di Ayotzinapa è inammissibile, non può restare impunito. Non si potrà mai accettare che 43 studenti spariscano dopo essere stati arrestati dalla polizia locale. Non passa giorno senza che in Messico vi siano manifestazioni, raduni, proteste, eventi d’ogni sorta per ribadire il rifiuto dell’impunità e della violenza sistematica. Erano studenti di una “normale rurale”, il tipo di scuola o istituto tecnico che continua a contrastare il neoliberismo selvaggio. Il sistema economico-sociale che si pretende di imporre al Messico prevede la soppressione di quelle scuole, che vengono considerate focolai di ribellione, in realtà sono baluardi della concezione collettiva e comunitaria del lavoro della terra.
8. E di quello che accade in Italia? (Tav, università, movimenti…)
8 – La lotta contro la Tav mi ricorda molto certi movimenti messicani sorti dalla difesa di un territorio per poi divenire punti di riferimento a livello nazionale, esempi da seguire. Purtroppo, l’Italia è quella che è: un paese senza speranza, se tentiamo di interpretarlo a livello nazionale. Però, la proliferazione di piccole “insurrezioni morali”, a livello locale, riaccende la volontà di non restare indifferenti; dalla cosiddetta “terra dei fuochi” ai No Muos o anti-qualcosa, è partendo dal proprio ambiente saccheggiato e devastato che si sviluppano coscienze. Purtroppo tutto questo non sembra ancora incidere sulla nefasta classe politicante che continua a rendere la realtà nazionale una palude, una melma in cui tutto sprofonda e soffoca.
- Ci lasci un ricordo di Stefano Tassinari?
Stefano ci manca, e molto. Possedeva una forza di volontà rara, era un organizzatore e promotore instancabile, spesso mi sentivo in colpa con lui, perché non gli stavo dietro: era in moto perpetuo. Mi manca la sua ironia sottile e la sua severità inflessibile: era l’uomo più generoso al mondo, ma capace di sferzare chi se lo meritava, senza falsi pietismi. E negli ultimi giorni della sua vita, mi ha lasciato un ricordo di esemplare dignità. Se c’è un aggettivo che lo identifica, è “Irriducibile”.
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