La lotta contro le basi militari in Sardegna ha avuto negli ultimi tempi delle parentesi molto significative. Erano ormai decenni che la mobilitazione non prendeva connotati così determinati e costanti.
Il 13 settembre 2014 a Capo Frasca, diverse migliaia di manifestanti hanno, praticamente, assediato la zona circostante la base, e alcune centinaia di loro sono riusciti a recidere la rete che la delimita, per dare forma ad una sorta di invasione, mentre qualche migliaio di pacifisti molto, molto variegati si intrattenevano ad ascoltare i vari politicanti che si davano il turno in una sorta di “promozione d’immagine”, a distanza di sicurezza da possibili “problemi” con i soldati e le guardie in armi. La manifestazione fu, come dire, un successo, anche se la sua composizione fin da subito fece capire che al suo interno c’erano “compagni di strada” troppo dissimili e che difficilmente in futuro avrebbero potuto fare un percorso comune; praticamente c’era di tutto, dal Pd ormai fattosi “sistema”, a personaggi persi e rigurgitati dalla galassia destroide – che come ben sappiamo con le “divise” ha sempre “marciato” senza problemi; dalla sempre più variegata componente indipendentista persa nella diatriba elettoralista o nazionalista, a soggettività libere da “guinzagli” e da “recinti” da rispettare.
Dopo alcuni mesi, il 5 dicembre, diverse decine di compagni, senza nessun codinzolo famoso appresso e senza chiedere il “permesso”a nessuno, riusciva con determinazione e caparbietà ad entrare dentro la base del poligono di Teulada riuscendo a bloccare almeno per un giorno l’esercitazione della Brigata Ariete; il tutto senza che la stampa quasi si accorgesse dell’evento, a differenza di Capo Frasca dove addirittura distribuiva bandierine No basi. Strano? Noi pensiamo di no. Pensiamo infatti che le istituzioni, stampa compresa, insieme a personaggi della vecchia e nuova politica di palazzo, abbastanza loschi e abbastanza collusi, abbiano necessità e volontà di tirare a lungo con la diatriba basi o no basi, per galleggiare nel loro stesso putridume, per macinare consensi, attirarsi simpatie per poi utilizzarle a tempo debito; insomma il solito polverone del cambiare tutto per non cambiare niente.
E arriviamo alla giornata dell’11 giugno a Decimomannu, che ha impresso una svolta nuova nel contesto della lotta contro la militarizzazione della Sardegna. Il corteo composto da diverse centinaia di soggettività appartenenti a diverse aree politiche sarde e non, per un giorno è riuscito ad esprimere la propria rabbia in maniera netta e decisa contro la barbarie della guerra imperialista.
Questo il resoconto di un compagno del corteo …
“Siamo arrivati al punto di ritrovo verso le nove e mezza; sembrava che i partecipanti sarebbero stati pochi: i compagni erano poche decine. Lo spiegamento di forze del disordine invece era impressionante, erano presenti tutti i corpi tranne la forestale ed erano già arrivati un paio di cellulari. Quando il corteo è partito era finalmente più popolato ed era composto da compagni che non esibivano bandiere o schieramenti specifici. Eravamo scortati in entrambi i fianchi e dopo poco sono iniziate le varie brigate sberleffare nei confronti delle guardie, tutto inquadrato e ripreso da reporter istituzionali e non, compreso un elicottero. Tra slogan e beffe abbiamo deviato dalla strada su un argine sterrato e notevolmente più stretto per avvicinarci al poligono. A questo punto ci sono stati dei disaccordi con chi non era stato “invitato”, quindi DIGOS e guardie sono stati costretti ad uscire dalla strada e a farsi chilometri in mezzo al fieno. Arrivati all’aeroporto il nervosismo aumenta ma il corteo rimane compatto; dall’altra parte della recinzione ci attendono con i blindati le guardie che non erano potute passare per il percorso che abbiamo usato noi. Inizia così un’azione di battitura contro le reti e iniziano anche le prove di carica con manganellate. Per sparpagliare i “controllori” i compagni si sono divisi per tutta la lunghezza della rete e si è iniziato a provare ad entrare all’interno. Un gruppo di compagni, di cui le guardie conoscevano i nomi, sono stati minacciati esplicitamente di morte se avessero provato ad oltrepassare la rete. Aumentano le azioni di disturbo da parte degli sbirri che vengono però accolte da una sassaiola. I cani diventano sempre più rabbiosi! Un compagno viene fermato e manganellato, le merde cercano di sbatterlo dentro al cellulare ma i compagni le bloccano e lo impediscono, facendo da muro umano e rifiutando di spostarsi. Quando il gruppo si ricompatta torniamo indietro. Durante questa manifestazione abbiamo dimostrato che riusciamo a rimanere compatti e uniti, che siamo stanchi di fuggire e di stare zitti. Dopo tanto tempo si vede qualcosa di positivo, consapevoli che si può riuscire a contrastare le loro imposizioni”
Tali eventi hanno rimarcato che questa giornata di lotta e determinazione potrebbe segnare un percorso nuovo di contrapposizione alla logica militare della guerra imperialista. La conseguente violenta reazione repressiva è la dimostrazione che qualcosa è cambiato e che probabilmente, come riferito anche dalle istituzioni militari che hanno deciso all’ultimo momento di spostare l’esercitazione Starex, definendo il “contesto poco tranquillo”, questa sia, appunto, la strada giusta da percorrere per ostacolare il giogo militare e guerrafondaio, che ormai da troppo tempo attanaglia la Sardegna e non solo.
Uno Stato legato a doppio filo con la logica imperialista ha per forza di cose “necessità” delle Basi, non può farne a meno. Chiedere “cortesemente”che le chiuda è pura illusione. E’ meno illusorio pensare che la scelta senza mediazioni, come l’“assalto” al poligono di Teulada o più recentemente alla base di Decimomannu, appunto, sia quella giusta e indiscutibile, dove si fronteggiano a “campo aperto” le due parti in causa: lo Stato con la sua fermezza e le sue “necessità”, e chi invece crede sia ora di finirla, seriamente, con la barbarie della guerra. E lo pensa forte, con rabbia e determinazione.
Abbiamo deciso di percorrere questa “strada” e di farlo fino in fondo, perché, per noi, togliere un po’ di “tranquillità” a chi organizza, alimenta e vive di guerra, è senz’altro un grande passo avanti.
Kie fàket sa gherra
non kèret lassàu in pake
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