Stati di guerra permanente
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Sono passati più di vent’anni da quando invadendo l’Iraq di Saddam Hussein, che sino ad allora era stato un fedele alleato, l’America neo-conservatrice, con a capo la dinastia BUSH operava la rottura epocale tra l’occidente e il Medio-Oriente.
L’umiliazione delle masse arabe, il giogo dell’embargo, sarebbero stati il preludio a una stagione di risposte avventate, di atti di terrorismo forieri di nuove guerre di rappresaglia già programmate nelle stanze dei servizi occidentali. L’invasione dell’Afghanistan, ma soprattutto la seconda guerra contro l’Iraq segneranno il punto di non ritorno della pratica guerrafondaia degli USA e della coalizione raccogliticcia che ne ha sostenuto i programmi. L’obiettivo strategico del controllo dei pozzi di petrolio, l’insediamento di una nuova leadership servile e cooperativa, neutrale nei confronti di Israele è stato raggiunto anche a prezzo di innumerevoli vittime civili e di nuove e laceranti divisioni interne tra gruppi religiosi di confessione diversa. Ma certo anche queste divisioni erano state previste e volute. È bastato dare un calcio nel vespaio, manovrare alcuni leader religiosi spingerli alla guerra civile. Il conflitto interno ha creato il caos necessario alla destabilizzazione dell’area medio-orientale tutta intera. Quello che accade oggi sotto i nostri occhi non è altro che l’onda lunga di un processo iniziato il giorno in cui l’Iraq di Saddam ha dichiarato guerra all’Iran sciita per conto dell’imperialismo americano che non aveva ancora digerito la presa della sua ambasciata a Teheran dopo la caduta dello Shah e lo scacco del fallito blitz di liberazione degli ostaggi. Una guerra che come sappiamo bene è finita con un nulla di fatto ma che ha seminato centinaia di migliaia di morti.
Dopo aver servito gli interessi imperialisti, Saddam come tutti i dittatori fantocci diventò inaffidabile, soprattutto perché minacciava direttamente l’alleato saudita che già finanziava con miliardi di petrodollari la “sicurezza” regionale garantita dagli americani. Perciò venne spinto ad una guerra di conquista (la tentata invasione del Kuwait sul quale l’Iraq rivendicava una affiliazione storica) che sarà il casus belli di cui gli USA avevano bisogno per scatenare la prima guerra del Golfo. * ( 1)
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Tra la prima e la seconda guerra ci sarà l’insorgenza del fenomeno AlKaeda, alla cui guida si troverà un altro ex alleato degli USA, il Bin Laden che in Afghanistan combatteva i russi con le armi e gli istruttori americani. Senza fare dietrologia a buon mercato, ma chi se la beve che gli yankee non sapessero della preparazione degli attentati? Certo nemmeno loro si aspettavano un colpo così duro. Però anche a costo di pagare un prezzo così alto hanno creato le condizioni che giustificassero la guerra d’occupazione. Con la distruzione delle torri hanno avuto carta bianca da una comunità internazionale soggiogata dalla forza delle immagini.
E benché la terra intera sapesse che Saddam era un nemico di AlKaeda, con la scusa delle ricerca delle armi di distruzione di massa, chimiche o nucleari detenute dall’Iraq, ancora una volta gli USA hanno esportato la guerra e la distruzione, praticato la predazione e la tortura. E le conseguenze dell’avventurismo dei cow-boy, le conseguenze di Guantánamo e Abu Ghraib dei sequestri e delle torture? Chi si era illuso che tutto si sarebbe concluso con un’abbuffata di sandwich macdonald e coca-cola non conosceva la storia secolare di popoli fieri e guerrieri.
Nei media occidentali tutto questo era sparito da tempo, diluito dalle crisi economiche e da altre guerre, ma nella realtà, che è altra cosa dalle rappresentazioni ovattate dei giornali, sotto la cenere covava il fuoco. Così, nel presente, mentre l’America sposta i suoi centri d’interesse strategici nel sud est asiatico * ( 2) e delega, almeno in parte, la gestione delle crisi in questo settore dello
scacchiere ai fedeli e succubi alleati europei, in Medio oriente e nel Maghreb altri spettri si aggirano.
Lo “Stato Islamico” è uno di questi. Armato come un esercito nazionale, imperversa oggi dall’Iraq alla Siria (e in Libia come vedremo molto presto) ed è composto in buona parte da militanti del partito BAAS e dalla vecchia guardia repubblicana di Saddam (di confessione sunnita) che, esclusa dalla gestione del potere post-bellico, si è inventata una guerra di religione per riprendere il controllo di quelle ricchezze delle quali si sente defraudata dalla maggioranza sciita e dai kurdi. * ( 3)
Ma appunto, da dove arrivano i soldi e le armi di questa guerra che non conosce confini?
Per capire dobbiamo fare due passi indietro.
Nel 2007 Gheddafi viene ricevuto a Parigi dal neo-eletto Sarkosi con tutti gli onori dovuti ad un grande alleato. In quella occasione si firmarono molti contratti e si stipularono anche cooperazioni militari. Dalla parte del neo presidente francese questa accoglienza fu certo un atto di riconoscenza per il finanziamento che il dittatore libico fece alla campagna elettorale conclusasi con la sua elezione. Per Gheddafi, che in quella occasione si impegnò a dare la caccia agli integralisti islamici nella sua nazione, fu un ritorno trionfale sulla scena internazionale. Dal 2007 al 2010 fu ricevuto ovunque, perfino in Italia dove come tutti ricorderemo ci fu un vero circo con baciamano finale e cinque miliardi di euro regalati al tiranno per ripagarlo delle sofferenze che il colonialismo italiano inflisse al popolo libico, che però continuò a fare la fame mentre la famigliola Gheddafi sciava su un tappeto di EURO.
Ma il 2010 è anche l’anno dell’inizio della cosiddetta primavera araba. In Tunisia ed Egitto le rivolte popolari occupano le piazze e cacciano i tiranni, (Ben Ali e Mubarak arrestati come dei ladri di polli, bisogna dire che l’immagine si presta a ilarità e fa bene al cuore). L’esempio fa macchia d’olio. * (4) La Libia è a sua volta in rivolta, ma Gheddafi non molla anzi, accentua la repressione approfittando delle divisioni tribali 3 del suo popolo. È guerra civile. Ed è qui che accade qualcosa di strano. Il presidente francese decide, prima da solo, poi con l’alleato inglese, di appoggiare il “consiglio della resistenza” e senza neanche chiedere il parere dell’ONU, bombarda le truppe lealiste libiche, armando nello stesso tempo i ribelli, la cui identità politica è molto ambigua, come si vedrà in seguito.
Una parte di quelle armi provengono proprio dalla Sardegna, dove sono stoccate dai tempi del conflitto nei Balcani (bottino di guerra di un’altra avventura guerriera della NATO che ha prodotto una nuova aberrazione nazional -identitaria ai margini dell’impero. Il ruolo dell’Italia e del suo gruppo dirigente dell’epoca, d’Alema in testa, è talmente penoso perfino ricordarlo, ma lo conosciamo tutti).
Il clown Berlusconi infatti, dopo avere strenuamente difeso il suo tirannico amico, con un voltafaccia repentino (che nel personaggio è un classico per la verità) entra nel conflitto e bombarda la Libia, consegna le armi di cui si parlava più sopra a una sedicente opposizione senza chiedere nessuna contropartita politica. La Francia e l’Inghilterra hanno già firmano i contratti per lo sfruttamento del petrolio libico, resta qualcosa solo per gli americani, l’ENI racimola dei subappalti e poco altro. Poco importa, comunque ci chiediamo: tutto questo solo per il petrolio? Perché alle motivazioni umanitarie dell’Occidente non abbiamo mai creduto. Forse c’è anche dell’altro se è vero che Gheddafi, che accusava Sarkosi di avere tradito la sua famiglia, che pure era stata più che generosa con lui, viene trucidato dopo la cattura in presenza di militari francesi. Stessa sorte per Gheddafi junior. Forse i Gheddafi non dovevano parlare, quindi non hanno avuto nemmeno diritto ad un processo farsa come nel caso di Saddam.
Intanto la Libia post Gheddafi è devastata dalla guerra civile tra bande etnico-mafiose che si contendono i pozzi di petrolio e il business della tratta dei migranti verso le coste europee e i depositi bancari sopravvissuti ai saccheggi. Le stesse bande che sconfinano nel Sudan, in Nigeria, in un gioco di destabilizzazione reciproco in cui è difficile dire chi controlla chi.
Anche perché attraverso il deserto algerino e la Nigeria, vengono a rifugiarsi in Libia gli Jihadisti maliani spinti sino là dalle truppe francesi che chiudono il cerchio di una guerra precedente. Così si delineano i confini virtuali di uno stato di guerra permanente che alimenta un’economia di guerra transnazionale. E qui c’è anche una prima spiegazione del problema del finanziamento dell’immensa logistica Jihadista dal Maghreb all’Africa Sahariana al Medio-Oriente. Le grandi quantità di denaro che nei decenni precedenti partivano dalle monarchie del Golfo per finanziare i vari bin Laden sono ora più controllate, a causa dei problemi di destabilizzazione che hanno creato in quelle stesse monarchie. Ma ora, i proventi del petrolio e del gas sono a disposizione dei nuovi signori della guerra. Tanti soldi per arruolare mercenari ma anche tanti per acquistare, magari da Israele o GB, tramite mercanti internazionali, armi di nuova generazione. Tanto poi, pensano gli apprendisti stregoni, strateghi dei servizi occidentali, con satelliti, droni e missili li distruggiamo facilmente e tutto riprende come prima. Questi passaggi, questo gioco di manipolazioni che sembrano evidenti a chiunque si rifiuti di velarsi gli occhi uniformandosi al pensiero dominante, sono invece percepiti dalla opinione pubblica occidentale come una conferma della inferiorità della civilizzazione arabo musulmana; ancora un pregiudizio che nasconde l’ignoranza sulla quale si fonda il dominio capitalista.
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Ma in questo contesto, quello che per ora ci interessa è capire come e perché alcuni stati europei stiano diventando interventisti in maniera unilaterale, come e perché questi stati riescano alla fine a trainarsi dietro, in una maniera o nell’altra gli Stati europei più importanti. Nel centenario della guerra più mortifera della storia tra commemorazioni e discorsi molti sembrano avere dimenticati i milioni di soldati sacrificati all’ottusità di generali e politici criminali. Sembrano avere dimenticato, i politici di oggi, le lezioni di quella guerra.
Infatti, per la Gran Bretagna e la Francia gli interventi in Medio Oriente come nel Maghreb e in Africa sono il retaggio della loro storia coloniale, della loro volontà di “influire” nelle politiche di questi paesi. Ogni occasione è buona per “i paladini della libertà” per salvare il mondo. Che sia in Mali o in Repubblica Centroafricana, in Iraq o Siria, lo stato di guerra è permanente. Cambiano le maggioranze politiche, destra o sinistra vanno alla guerra con la stessa euforia guerriera e con le stesse risposte entusiastiche delle “masse popolari” scaldate al fuoco lento dei media. Leader politici occidentali in perdita di popolarità si rifanno il lifting affrontando il drago islamista.
Il pericolo “islamista” per quanto reale (la vediamo anche noi la barbarie delle decapitazioni, la riduzione in stato di schiavitù di intere popolazioni che non si sottomettono, ma vediamo anche come l’occidente usa lo spauracchio jihadista) non giustifica questo stato di guerra permanente che sta diventando la norma nonostante i costi esorbitanti. Allora?
Forse bisogna andare a guardare dalla parte dei due stati “storici” della guerra permanente: USA e Israele, quest’ultimo appendice invasiva del primo e quindi stato d’occupazione.
Per questi due stati la guerra è condizione necessaria alla loro stessa sopravvivenza.
Per gli USA l’economia di guerra è settore trainante del sistema produttivo nazionale, grimaldello con il quale apre le porte dei mercati al capitale “stelle e strisce”, alla maniera hollywoodiana: sangue ed effetti speciali. Per Israele la guerra è una necessità vitale, perché solo attraverso la guerra tiene unita una nazione che non è. Perché grazie alla guerra arrivano i soldi della diaspora e quelli del congresso americano, grazie alla guerra si reitera l’abusata “legittimità” dell’occupazione e delle sue forme più criminali come il muro dell’apartheid, i checkpoint e le nuove colonie.
E se l’Occidente tutto intero stesse cambiando di paradigma, se si stesse dotando lentamente e progressivamente di una struttura di guerra permanente? Come interpretare altrimenti la dichiarazione del segretario generale della NATO, Rasmussen a proposito della creazione di una brigata di rapido intervento composta di 5/10 mila uomini delle forze speciali capace di dispiegarsi in tutti gli scenari di crisi (compresa l’Ucraina, quindi con un avvertimento diretto alla Russia). Come non vedere che quando le sanzioni economiche non bastano a piegare alle proprie esigenze le controparti, la guerra è paventata come unica soluzione. Certo con Russia e Cina i parametri dello scontro cambiano e l’equilibrio nucleare crea nuovi scenari da guerra fredda, il cui esito probabilmente si gioca anche sullo scacchiere medio-orientale.
Intanto la Francia ha ripreso a bombardare l’Iraq, mentre gli USA già lo fanno in Siria. Le democrazie, con a capo dirigenti di guerra, sembrano oggi indicare nuovi percorsi verso la transizione dei poteri politici in Occidente e nel globo intero.
UBIK
Note
*-(1)
Shaddam Hussein è certo un personaggio contraddittorio e va inquadrato storicamente.
Quando sale al potere portato dal movimento Baas opera immediatamente una radicale trasformazione delle strutture del partito trasformandolo in una milizia personale. Dei vecchi ideali socialisti che guidarono i padri fondatori (in Siria inizialmente poi in Iraq, Libano e Giordania) una volta al potere non resterà niente o poco nel nuovo Saddam, così come non resterà niente nel Siriano Hafez el-Hassad.
Certo i due stati si definiscono laici e per certi versi sono “progressisti”.
Lo sono di certo rispetto alle monarchie del golfo. In Iraq le donne godono all’epoca di una libertà relativa, così come la società tutta intera.
Ma Saddam è allo stesso tempo il comandante spietato che ordinerà di sterminare i ribelli sciiti e gasare il villaggio Kurdo di Halabja dove perirono cinquemila civili.
Che i suoi interessi personali e quelli del suo gruppo di potere siano spesso coincisi con quello degli USA (dopo una lunga parentesi di collaborazione con l’URSS) è assodato storicamente, così come è assodato che in questo gioco di reciproche strumentalizzazioni alla fine il perdente sia stato lui.
*-(2 )
Forse perché per la prima volta nella loro storia gli USA hanno raggiunto l’ autosufficienza energetica grazie all’estrazione in profondità di petrolio e gas di scisto col sistema di frantumazione della roccia con getti d’acqua ad altissima pressione. Sistema che detto di passaggio è il più inquinante in assoluto tanto da sterilizzare il terreno circostante per centinaia di anni.
*-(3)
Una componente importante dell’ISIS, non tanto numericamente ma per l’impatto che ha nell’opinione pubblica occidentale è quella che viene chiamata “legione straniera”, cioè quella pattuglia di giovani jihadisti di origine europea (quella che gli inglesi chiamano il nemico combattente dell’interno) che si identificano con i valori dello stato islamico e si sentono rigettati dal paese in cui sono nati. Per neutralizzare questi soggetti la Francia sta modificando il proprio impianto giuridico introducendo una
categoria che potremmo definire ridicola se non avesse effetti drammatici sulla libertà di migliaia di persone. Si applica infatti a singole persone che vengono definite “impresa terroristica individuale” e per le quali valgono tutte le misure applicabili alle organizzazioni. Comunque i primi provvedimenti hanno portato al fermo di decine di minorenni, soprattutto donne, che cercavano d’imbarcarsi per la Turchia spinti dal sogno di morire in martirio per Allah.
*-( 4)
Quando parliamo di “cosiddetta” primavera Araba intendiamo esprimere la nostra perplessità non nei confronti delle giuste ragioni dei popoli oppressi (siano questi l’Egitto, la Tunisia o la Libia), quanto nei confronti del retroterra ideologico che grazie al WEB ha diffuso il messaggio del sinistro Gene Sharp.
Questo ideologo della “ribellione democratica” ha scritto diversi manuali sulla destabilizzazione dei sistemi non omologati alle regole del sistema occidentale. I suoi epigoni iniziano a diffondere i suoi metodi inizialmente in Iugoslavia, poi in Ucraina (rivoluzione arancione), Lettonia, Estonia quindi in Venezuela, infine nei paesi arabi. Lungo tutto un ventennio, con esiti diversi, le diverse fondazioni che fanno capo al Signor Sharp, come “l’Albert Einstein Foundation” martelleranno il messaggio del suo testo di referenza:
Dalla dittatura alla democrazia. Sul terreno sono gli agenti dei servizi americani che diffondono il messaggio e organizzano la logistica delle manifestazioni di piazza. In Venezuela le cose sono andate male perché nonostante gli sforzi della borghesia locale le masse sono rimaste compatte dietro Chavez. Le stessa considerazioni valgono per l’Iran, anche se non abbiamo nessuna simpatia per il regime degli Ayatollah. Certo se andiamo a vedere gli esiti delle rivolte nei paesi arabi, fatta forse eccezione per la Tunisia, il rimedio è stato peggiore del male.giore del male.
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