Working poor, è il nuovo lessico che da qualche anno imperversa nel mondo economico e lavorativo e riguarda la figura dei lavoratori a basso reddito o meglio i lavoratori poveri, che pur avendo un impiego costante, non riescono a fare una vita economicamente “dignitosa”.
Il binomio lavoro e povertà, fino a qualche tempo fa, combinava due prospettive divergenti; ora, in piena crisi del sistema capitalista, con il mondo del lavoro organizzato, principalmente, con un infinità di occupazioni deregolamentate e flessibili, questo binomio diventa sempre più affine. Mentre prima il lavoratore era una figura “tutelata” nel contesto economico e sociale, ora la “voragine” povertà inghiottisce in un vortice irrefrenabile; sempre più persone e sempre più fette di popolazione, fra cui, appunto, chi fa le sue otto ore di fatica per il fabbisogno economico, individuale e familiare.
Questo fenomeno è sempre in notevole crescita. Nel 2012, in Italia, i lavoratori con basso reddito erano stimati al 12%, oggi si parla già del 16% con una media europea del 18%. Ovviamente questi sono dati riguardanti i lavoratori “ufficiali”, calmierati dalle statistiche istituzionali, a questi, infatti, bisogna aggiungere i lavoratori in nero, quasi sempre sottopagati, che secondo le ultime stime, sono circa 3 milioni. Ora in base a queste cifre, per quantificare il perché un lavoratore diventa povero, basta usare i parametri che le istituzioni stesse usano, per “dare i numeri” della società attuale.
Secondo i dati di Banca Italia, il reddito minimo per ”vivere” è calcolato in circa 1400 euro al mese se si è singoli, 2000 se si vive in copia e 2400 euro se si vive in una famiglia di tre persone, e per una vita “dignitosa” si calcola in circa 3500 euro se si ha un figlio e senza “scadenze” o mutui da pagare. La famosa soglia di povertà, invece, redatta dall’Istat, è stata individuata in un reddito di 7680 euro netti all’anno e di 15500 euro per una famiglia di tre persone. In base a questi dati sono circa 10 milioni le persone che vivono sotto o al limite di questa soglia, e altre centinaia di migliaia, che vivono molto lontane, dai dati, sicuramente al ribasso, della stessa Banca Italia, sui redditi necessari per poter vivere “dignitosamente”.
I lavoratori con contratti cosi detti atipici, che il governo del Pd sta trasformando in “tipici” e costanti, saranno il futuro del mondo lavorativo – lo stesso Renzi ha dichiarato, più volte, che ormai il posto fisso non esiste più – con salari che non
superano le 4 euro l’ora; così, milioni di famiglie sono inghiottite nel vortice del conteggio freddo, ma reale, di tutte le statistiche e dei numeri sopra citati. Si tratta ormai di povertà dilagante, povertà vera, toccata con mano, visibile non solo nelle periferie delle grosse città.
In Sardegna il quadro sulla povertà fatto dall’Istat, includendo sia i lavoratori poveri che i senza reddito alcuno, descrivono una situazione da esplosione sociale. L’incidenza sulla povertà reale nel 2013 si è attestata al 25%, con 175 mila famiglie sarde, considerate povere a tutti gli effetti, la disoccupazione ormai “viaggia” al 20% e quella giovanile supera di gran lunga il 50%. L’indecenza di questo drammatico conteggio, sta nel fatto che a pari passo con questa valanga sociale, c’è chi risale sempre più in alto nella vetta della ricchezza, accumulata proporzionalmente alla miseria creata; basti pensare che il 10% delle famiglie più ricche, detiene il 48% della ricchezza netta totale, numeri sempre più in crescita, si calcola infatti, che queste famiglie, hanno incrementato negli ultimi due anni, di circa il 45% le loro “casse”.
Un rapporto da barricate, che il potere gestisce con la repressione sempre più agguerrita e capillare, insinuando nuovi populismi fascisti, innescando lo stillicidio della sempre più costante e funzionale guerra fra proletari, sia a livello locale sia internazionale; le guerre ormai sono divenute il sangue per le vene del potere capitalista e imperialista, che le lobbies della nuova ricchezza usano per ingrossare i loro bilanci, con risultati più soddisfacenti dello stesso sfruttamento salariale. Barricate, che per forza di cose, è auspicabile si alzino, per contenere, resistere e per ricostruire, come la storia insegna.
27/novembre 2014
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