No al 41 bis, no alla tortura, no al carcere

 

L’ insulto

Il 15 settembre a L’aquila riprende il processo contro Nadia Lioce, la prigioniera politica sottoposta al regime di 41 bis. Nadia viene giudicata per aver insultato una guardia carceraria e per aver disturbato il silenzio tombale del carcere con la battitura delle sbarre – con una bottiglia d’acqua – per avere i suoi libri e i suoi scritti. Il caso della compagna prigioniera rappresenta solo un frangente, anche se uno dei più toccanti e importanti, della repressione dello Stato contro chi ha osato mettere in evidenza le sue contraddizioni intrise di sfruttamento e prevaricazione.

La perenne e costante emergenza securitaria è studiata ad arte dal sistema che vuole gestire gli strati inferiori della società, la sua stessa crisi e le sue contraddizioni in modo poliziesco e penale. Carceri, C.I.E, istituzioni psichiatriche, caserme e militari ovunque servono non solo per l’accerchiamento repressivo sulle marginalità ma anche per incuneare nei meandri della precarietà quotidiana, il clima di sospetto e insicurezza, fuorviandone la realtà.  Così non fa notizia, o meglio è indifferente per questa società che ci siano ancora uomini e donne che hanno sulla pelle oltre trent’anni di prigionia con vessazioni di ogni genere e torture quotidiane, come appunto il 41 bis, dove solo il poter sognare con un libro in mano è interrotto dall’accanimento fascista, o il fatto che oggi nelle galere dello Stato ci siano ancora 60 bambini e bambine da zero a tre anni o che, come avvenuto nel carcere minorile di Quartucciu, dei giovani, poco più che ragazzi, cerchino con il laccio delle scarpe di porre fine alla loro esistenza e a questa barbarie o, ancora, come il caso di Davide Delogu, compagno anarchico di Cagliari, costretto allo sciopero della fame per poter sfogare la propria rabbia in lacrime di dolore su una foto di un suo amico morto di recente: foto sequestrata dall’amministrazione carceraria per cercare, inutilmente, di sedare l’impulso ribelle e rivoluzionario del compagno prigioniero.

In carcere si vive di sopruso, di tortura e di disumanizzazione e di carcere si muore in mano agli aguzzini dello Stato o ci si libera con l’aiuto delle proprie forze: fino ad oggi ci sono state sei evasioni da penitenziari e oltre settanta da semilibertà o permessi premi. La triste conta invece di chi non riuscendo nel proprio sogno di libertà decide di farla finita, ha i numeri per descrivere a pieno il sistema: da maggio ad agosto ci sono stati 37 suicidi, uomini e donne senza storia e senza clamore, esistenze solo per il dolore dei propri cari.

Il 15 settembre, come tutti i giorni, abbiamo rimarcato la nostra avversità a questo sistema, al suo sfruttamento e alle sue galere, solidarizzando con Nadia Lioce e con tutti i prigionieri e le prigioniere.

 

“Pro disciplina contra a sas chimeras,

de su populu ischiavu reduidu;

han puru antigamente costruidu

sos regnantes, presones e galeras.

Regulamentos e legges severas

pro sos ribelles hana istituidu;

e dogni pegus de s’umanu gregge

han suggettadu cunformas sa legge”

B. Poddighe