Uomini e topi. Cronaca di un discorso sospeso

 

 

Qualche giorno fa un giovane del Mali si è impiccato nella Stazione Centrale di Milano, sotto gli occhi estraniati della gente. La notizia non ha fatto notizia ed è stata freddamente accantonata da chi è al soldo per dare peso alla cronaca, ai fatti; qualche giornale ha, addirittura, tentato l’azzardo e ha parlato della tragedia legandola al degrado delle nostre città, dove, certo, un impiccato in una stazione centrale non è sicuramente una bella immagine, soprattutto per una società costruita sul nulla, sul luccichio abbagliante di un benessere fasullo e sul traguardo economico, divenuto, per molti, solo un sogno. Un’immagine negativa al pari dei topi romani, tema di accesissime discussioni parlamentari e di show televisivi.

Qualche mese fa un altro migrante si è ucciso lanciandosi nel Canal Grande a Venezia mentre i passanti e i turisti guardavano lo spettacolo sensazionale, non come un evento tragico, ma semplicemente come un evento, per alcuni da memorizzare nella card di qualche telefonino, per altri da cancellare con fastidio e per altri ancora da scrollarsi dalla vista con disprezzo, come per i ratti in giro per le città. Questa è la nostra società cosiddetta civile.

La società partorita dal ventre del potere e fatta crescere orrendamente fra i meandri del popolo. La società dove istituzionalmente si praticano le retate per strada di migranti, barboni o semplicemente poveri; di chi sporca qualche muro inneggiando alla propria libertà o contrastando il suo vivere precario; di chi si oppone alla guerra o alla logica dello sfruttamento salariale senza limiti e a tutti i costi. Proprio alla  Stazione Centrale di Milano si è avuto il battesimo del Daspo urbano, la pulizia di classe, trascinando via la povertà per non oltraggiare la vista ad una realtà fittizia; battesimo rovinato dal giovane del Mali e dal degrado che il suo corpo emanava.

Una società dove lo sfruttamento e la miseria hanno numeri da spavento, come hanno numeri da spavento le ricchezze di pochi, accumulate grazie al lavoro di tanti sottopagati e grazie al ladrocinio istituzionale, mai come adesso, spudoratamente  praticato.

Una società intera prestata alla guerra, i suoi territori, le università e le fabbriche come la Rwm di Domusnovas, per costruire la morte per dominio e di sterminio, sponsorizzata dagli scranni del potere come unica soluzione per la (loro) pace, dove la manovalanza del sistema, sia in divisa o in tuta da operaio, obbedisce all’alzabandiera dell’imposta emergenza nazionale; emergenza puntata sulle marginalità del mondo che, comunque, ci ritroveremo sempre più numerose, sul nostro uscio di casa, per chiederci il conto, chi con l’elemosina, chi con la rabbia, delle loro tragedie alimentate da noi.

Un circuito perverso dove la stampa e le televisioni, quotidianamente, disseminano i loro messaggi subliminali per nascondere le devianze strutturali del sistema politico e partitico:

   il partito democratico alle prese col suo americanismo da “uomo solo al potere”, per imporre la sua natura reazionaria, che ha raggiunto il suo massimo livello proprio col decreto Minniti;

    il Salvini di turno lanciato con la sua follia razzista ad alimentare il vuoto sociale come una cancrena pericolosa;

   la destra fascista sempre in campo per il lavoro sporco del sistema, atto ad alimentare le divisioni di classe e sempre più funzionale alle lobby di una borghesia alle prese con l’era della finanza senza ostacoli, costretta a sgomitare per cercare nuovi spazi;

   il teatrino trasversale del grillismo, inconcludente e incluso al Palazzo, utile solo come anestetizzante per una massa sempre più in stato politico confusionale,

rappresentano l’immagine, il quadro penoso della nostra società, dove la gola stretta da un cappio o i polmoni pieni d’acqua di qualche miserabile, sono la tragica cornice, che nessuno vede o vuol vedere: un quadro da sconvolgere prima possibile. Anche in loro nome.