La RWM Italia S.P.A. è una società del gruppo Rheinmetall Defence che ha incorporato le attività e le linee produttive del ramo difesa della storica società S.E.I. Società Esplosivi Industriali S.P.A., fondata nel 1933.
Ad oggi RWM Italia S.P.A. sviluppa e produce interamente una gamma di prodotti di serie già conosciuta a livello mondiale. Dispone di due stabilimenti, uno a Ghedi (Bs) e uno a Domusnovas (CI), dotati di moderni laboratori per lo sviluppo, la ricerca e la produzione delle parti elettroniche, inerti ed esplosive, richieste per i moderni, e futuri, sistemi d’arma. La RWM di Domusnovas dispone di un moderno impianto per la produzione di esplosivo insensibile (PBX), i PBXN -109. PBXN-110 ed PBXN-111, certificati dalla Design Authority US Navy.
Il business RWM è basato principalmente sulle attività di: Bombe d’aereo e da penetrazione, caricamento di munizioni e spolette, sviluppo e produzione di missili, siluri, mine marine, cariche di demolizione e controminamento …
Questi sono i dati della fabbrica presente a Domusnovas. Dati tecnici, chiari, come i dati di una qualsiasi fabbrica che produca biscotti o giocattoli, ma l’RWM presente in Sardegna, come descritto dalla scheda dell’azienda, produce missili e bombe, le stesse che stanno devastando lo Yemen. Donne, uomini e bambini massacrati dalla guerra, che con la loro carne e il loro sangue riempiono di economia le 150 buste paga, utili a garantire una vita dignitosa agli operai sardi.
L’EurAllumina S.P.A. è nata negli anni ’70, come azienda italiana, passata poi alla multinazionale russa Rusal, opera nel settore metallurgico e si occupa nello specifico della produzione di ossido di alluminio ricavato dalla lavorazione di bauxite. I principali prodotti della Rusal sono: l’alluminio primario utilizzato nelle industrie dei trasporti, leghe di alluminio e derivati per computer, per cavi elettrici, per il confezionamento e per l’edilizia …
Questa, invece, è la scheda di presentazione dei russi, sbandierata con enfasi dagli operai, per rimettere in moto l’economia del Sulcis, tramite la rimessa in funzione dell’EurAllumina S.P.A. Ovviamente nella scheda non si fa riferimento al disastro ambientale, alla carne sacrificale in nome del profitto, causato dagli scarti di questa lavorazione, che ha caratterizzato l’intera zona per diversi decenni e alla follia di voler utilizzare il carbone come generatore d’energia per i nuovi impianti. Le discariche dei fanghi rossi, ossia cromo VI – uno dei più cancerogeni – arsenico, piombo e mercurio, con percentuali di residuo tossico nelle acque limitrofe superiori anche del 900% rispetto alle soglie consentite per legge – hanno letteralmente divorato il territorio, distruggendo pascoli, oliveti, vigne e zone marine un tempo considerate dei veri paradisi ambientali. I morti per tumore e per malattie vascolari non si contano più. L’A.S.L di Carbonia ha consigliato alle popolazioni limitrofe alla fabbrica di non consumare i prodotti ortofrutticoli della zona e l’Università di Cagliari, Dipartimento Sanità Pubblica, ha affermato chiaramente la sussistenza di deficit cognitivi in un campione di bambini di Portoscuso, dovuto ai valori di piombo nel sangue, enormemente superiore ai limiti previsti. La letteratura medica conferma che la concentrazione di piombo ematico causa la riduzione di quoziente intellettivo. Nel mentre, con la proposta d’accordo varata in questi giorni, i lavoratori festeggiano, ma festeggiano soprattutto i russi che hanno la possibilità di accrescere la produzione e, per poter far questo, di ampliare la discarica di scarto, quindi di amplificare maggiormente il disastro. Tutto l’arco politico, la sua corte a seguito ed i giornali sardi, sotto la sua tutela, parlano di “spiraglio” e di “boccata d’ossigeno” che, se non fosse per il dramma, rasenterebbe il ridicolo.
Queste due realtà presenti in Sardegna, sembrano sviluppare due situazioni differenti, accomunate solo dall’ottica del lavoro, ma sono accomunate entrambe, anche, dal frutto della contraddizione del capitalismo riguardante l’utilizzo a tutti i costi, per ingrossare i profitti, di materiale sia umano sia ambientale. Costi che ovviamente si ripercuotono, con gli effetti palesemente sotto gli occhi di tutti, come dicevamo, nel vivere stesso dell’uomo, sempre più schiavo e succube, e del suo ambiente circostante, sempre più devastato e invivibile. Contraddizioni che ormai si sono incuneate nella normalità dell’esistenza, dove il liberismo capitalista ne è uscito vincente con la sua dottrina di dominio: la vulgata imperante che non ci sono alternative a questo vivere.
La crisi economica che ormai si trascina da anni – una delle tante che lo stesso sistema capitalista crea e alimenta per sua natura e sfrutta per la sua ristrutturazione; crisi contemporaneamente politica visto che saranno gli Stati a gestirla e ad usarla – ha trasformato l’intera società, le politiche nazionali e soprattutto il mondo del lavoro, sempre più parcellizzato e sempre più contestualizzato, in un ottica di perenne precarietà, insicurezza e di ricatto per i lavoratori.
Il dominio capitalista del/sul lavoro salariato, inoltre, ha creato la nuova sudditanza dell’uomo sull’uomo e la supremazia dell’uomo sull’esistenza, imponendo la legge della fabbrica su tutta la società, configurandosi come sistema di dominio articolato su tutti i campi, creando il nuovo individuo sociale dove il capitalismo non si appropria solo della sua produzione, della ricchezza prodotta dal suo lavoro, ma si appropria tout court del soggetto sociale stesso, della sua salute, dei suoi studi, del suo tempo libero e del suo vivere quotidiano. Ha portato alla devastazione etica del mondo del lavoro, grazie, anche, al lungo percorso del progetto politico sindacale, neocorporativo, concertativo e funzionale al sistema, che si è incuneato nella voragine della politica riformista.
In tutto il Sulcis, per rimanere all’esempio citato, è evidente la complicità sindacale con la sua compartecipazione politica alla distruzione del territorio, usando, spudoratamente, gli operai per le loro ridicole parate teatrali e per riempire le urne di fumose speranze, utili a nascondere la corruzione e il clientelismo strutturale al potere, lo sfruttamento e il saccheggio ambientale, divenendo pilastro portante della dottrina capitalista, a discapito dell’autonomia di classe indispensabile come controparte al nuovo schiavismo salariale. Tutto ciò ha creato lo sfaldamento nel mondo di produzione e nella sua gestione, garantendo al padrone il massimo profitto e con la precarizzazione, un esercito di manovalanza disposta a tutto per qualche elemosina di salario. Gli esempi citati prima dimostrano, inoltre, che non esiste una coscienza pur minima di classe – quel diritto all’odio, conosciuto nelle lotte operaie dei decenni passati – nell’osteggiare le sempre più devastanti richieste in nome del Capitale: si alimenti la guerra altrove o si inquini l’ambiente sotto casa.
Lo stravolgimento dei mezzi di produzione ha ridotto l’operaio ad una entità omologata all’accettazione sociale e alla sua solitudine egoistica, una sorta di auto-marginalizzazione, curante solo della sua garanzia, quantificata con pochi soldi del salario che gli garantisce di consumare le briciole della sua produzione; il suo vicino di esistenza è visto con sospetto come colui che potrebbe rubargli il futuro, così come l’immigrato che potrebbe rubargli il pasto; vivendo infarcito dei soliti luoghi comuni, in difesa sempre e comunque del padrone, come la vulgata comune degli insegnanti con troppe ferie, l’impiegato pubblico sempre imboscato, l’operaio che fa troppa malattia, o i giovani che non hanno voglia di lavorare, quando decidono di non farlo a gratis.
La composizione della nuova classe o meglio della moltitudine lavorativa sempre più povera, è succube della logica produttiva e la vive sulla propria pelle come un’appartenenza intrinseca e se la rivendica quasi con orgoglio. Il barista da poche euro l’ora, le commesse nei grandi magazzini o i lavoratori e le lavoratrici stagionali pagati una miseria – tutti in netta competizione con la massa di disoccupati che spingono a infrangere il loro sogno – fanno parte della nuova compagine lavorativa e sociale, così come gli operai, citati prima, che fabbricano bombe o che inquinano dove vivono, e sono cresciuti nell’ottica di non aver altra scelta e che comunque questa scelta garantisce loro l’accesso ad un minimo di beni necessari e superflui che questa società impone per garantire la loro (pseudo) esistenza.
Boicottare tutto questo è necessario, creando consapevolezza e rottura verso gli ingranaggi del potere capitalista, per ricostruire i presupposti del diritto all’odio, come accennavamo prima: odio verso la guerra, verso chi la impone e verso chi la costruisce; odio verso lo sfruttamento, il sistema padronale e statale e verso il servile sindacalismo strutturale che lo produce, per mettere il tutto in discussione e creare autorganizzazione nei contesti lavorativi, con i precari, i disoccupati, i migranti e con le lotte di ribellione sociale e di resistenza, per ostacolare questo nuovo dominio, sempre più devastante e sempre più disumano.
Commenti recenti