Di neve, di avvoltoi e di sciacalli

 

Sciolta la neve, finita la kermesse televisiva dei morti nel Gran Sasso e fermatasi la terra dal tremare, ai primi raggi di sole si tirano le somme di questa ennesima tragedia nazionale, con i suoi video spettatori e gli avvoltoi di nuovo in volo per gli affari sulla nuova ricostruzione. Periodicamente assistiamo allo scricchiolio del sistema ma, grazie a terremoti, alluvioni e dissesti ambientali, questo riesce a trasformare le sue debolezze in forze condivise dal/sul popolo.

Colpire la pancia del paese, per i suoi governanti, è sempre stato il metodo persuasivo più efficace e funzionale. Dalla paura islamista, ai migranti che sono troppi, sporchi e cattivi, fino all’ultimo ingegno catalizzatore che è il terrorismo meteorologico, dove anche una pioggerella serve a preparare il terreno per l’alluvione.

Che il clima stia cambiando non lo può negare nessuno ma che le eccezionalità climatiche ci siano sempre state è la storia che lo ricorda. Anche la terra ha sempre tremato, con vittime e danni, ma ciò che sta avvenendo sempre più di frequente è l’assopimento dell’uomo nel reagire a ciò che gli succede intorno. La desolidarizzazione delle nostre comunità, delle nostre menti, sta amplificando gli eventi, anche catastrofici, legati alla natura stessa della nostra esistenza. Così alluvioni, incendi o terremoti sono diventate calamità per addetti ai lavori, al massimo da volontarismo con gagliardetti e divise o semplicemente da lavoro gratis. Il comunitarismo o la comunanza del nostro passato neanche tanto remoto non esiste più o esiste sporadicamente con l’aiuto al vicino di casa o vicino di interessi. Per il resto è una giungla del si arrangi chi può, e questo non fa che amplificare i danni ed il dolore, fortificando il sistema, giustificando o accettando inerti il suo operare sulle varie calamità. Nell’ultima nevicata in Sardegna i pastori sui monti aspettavano i militari dello Stato, li aspettavano rabbiosi, per la salvezza del loro bestiame, non consci che i militari servono a fare la guerra e sono utili solo per quello, e che le poche volte che li hanno visti in azione è stato solo per approfittare di un buon palcoscenico che la natura presta per le loro esibizioni promozionali.

Il panico generale gestito coscientemente da uno Stato che ha altro nei suoi interessi ma che nutre interesse anche da questi eventi è evidente con la sua potenza nel gestire le tragedie, con i suoi eroi nazionali e con le dosi pilotate di lacrime per le vittime inevitabili. In un sistema iperliberista esistono solo le priorità dei bilanci, con i suoi costi e, soprattutto, i suoi ricavi, e sicuramente il pastore nei monti in Sardegna o la povera famiglia senza più una casa in un paesino insignificante dell’Abruzzo, non possono essere una priorità o una necessità impellente per le scelte dei suoi apparati, ma solo casi di secondo piano, irrilevanti, da gestire facilmente con gli anestetizzanti fondi per le emergenze – sempre pochi per il traballante Pil – o dei due euro ad un numero magico, cliccato dal “gran cuore” della gente.

Dei nostri predecessori si sono cancellati i consigli e gli insegnamenti che descrivevano la natura e l’ambiente in genere, come una sorta di gigante buono, da rispettare e da non sottovalutare. I fiumi e le montagne erano i soli padroni con cui non c’erano margini di trattative e sfidare loro era una sorta di roulette russa: un giorno o l’altro il colpo partiva. Ora si assiste ad una sfida su tutto, in nome del progresso e del profitto; profitto dai boschi, dal cemento e strade per arrivare ovunque; una sfida che, quando parte il colpo, lascia comunque un perdente e un vincitore. Una medaglia dalle facce ben distinte: una – quella del dolore – e l’altra – quella degli affari: la preda e gli sciacalli … lacrime e brindisi.

Il fango causato dal clima impazzito o dalla terra che trema, paradossalmente, rende più solido il sistema e tranquillizza gli spettatori e gli spalatori, rendendoli docilmente professionali al suo scopo, e una cerimonia funebre con tanto di telecamere e fasce tricolore avvolge il popolo in un unico contenitore, con tanto dolore e tanta ipocrisia.